Il nickname Mr. Savethewall indica la funzione sociale, prima ancora che artistica, a cui tende l’opera di Pierpaolo Perretta quando interviene in un contesto urbano: l’idea è stata quella di comporre graffiti rimovibili (in cartone applicati al muro) che non deturpassero la città, semmai la impreziosissero: fin dagli esordi molte installazioni venivano nottetempo staccate e rubate. In questo senso, viene ribaltato il concetto che sembra sottendere la street art, nata come forma radicale di contestazione di un sottoproletariato antiborghese il quale nella riappropriazione di spazi pubblici attraverso il segno o la tag rivela le profonde convinzioni anarchicheggianti di una cultura fatta di slang performativi, tra musica e pittura. Certo, c’è anche un versante pop che da Warhol a Basquiat, passando per gli interventi quasi commerciali di Keith Haring, ha come risultato l’esaltazione del marchio e del logo mass market, piuttosto che la sua contestazione, sempre che la contestazione non possa procedere per paradossale adesione.
Il modello Banksy, a cui sembra inspirarsi più specificatamente Savethewall per la tecnica dello stencil, concentra le due matrici storiche innestandovi sopra l’elemento concettuale, di chiara derivazione duchampiana e new dada, secondo il metodo del cosiddetto détournement situazionista, il quale permette, anzi impone, inedite sintesi linguistiche: nella crasi, nel malapropismo, nell’iperbole si esalta un lavoro che tende più al lirico che al politico (si pensi a “Itaglia” la bandiera italiana coi classici tagli alla Fontana, o alla scritta “L’EX” in cui cozzano significante e significato per rimandare a un referente che è terzo rispetto ai due che lo compongono).
In opere come “La famiglia del Mulino Bianco non esiste” (con la bambina che brucia l’edificio inventato dalla Barilla), o “Selfie ergo sum” (uno specchio a forma di smartphone in cui autofotografarsi), è chiaro l’intento pedagogico non quello rivoluzionario, l’aspetto psicologico non quello sociale. Anche nel caso delle icone (Dalì, Che Guevara, Madre Teresa di Calcutta, Marilyn Monroe…) che Savethewall rappresenta per estrema sottrazione resiste un desiderio ludico, al massimo di indagine segnica senza altro intento che non riguardi il rapporto tra l’artista e il fruitore che viene sollecitato al gioco.
Diverso è invece l’approccio nelle opere di meta arte, anzi di meta meta-arte, perché nel triplo salto tra testo, meta testo e contestazione del meta testo, lo sguardo di Pierpaolo si fa più acuto. Nel “DollArt” (il finto dollaro con impresso il volto di Jeff Koons), oppure in “BallonArt”, un ballon dog in miniatura che esplode rilasciando carta moneta, è patente la critica tesa a svelare i meccanismi di attribuzione del valore nell’arte contemporanea, arte che vale perché costa e non costa perché vale; di fatto le opere del concettuale stretto, slegate da qualsiasi residuo fardello estetico, al pari dei soldi devono essere fungibili, e al pari delle azioni scambiali con velocità sul mercato al fine di accrescerne ulteriormente il valore, che è un valore appunto di cambio e non di risultato. Nel ready made, il 500 euro firmato Savethewall e incorniciato nel plexiglass che vale già 1.000 euro per effetto della firma dell’artista (alla Piero Manzoni), c’è l’aspetto speculare – a contrario – del precedente ragionamento: nel delirio dell’interscambiabilità, l’aura che l’artista genera può perfino produrre opere “uniche” seppur multiple.
I volti della triade Hirst-Cattelan-Koons, infine, coi baffoni e gli occhiali spessi alla Groucho Marx, raffigurano la demolizione del mito dell’art system che avviene attraverso la chiave dell’ironia. Un’erosione dissacrante, ma non iconoclasta fino in fondo, che ha come limite il nichilismo di un circuito postmoderno fatto di rimandi e citazioni chiuse, nell’idea accettata di un non plus ultra, secondo cui si può e si deve dissacrare il dissacrante senza però la possibilità di risacralizzare quanto sconsacrato. E come si può comprendere, esercizio relativo e relativista, sostenibile solo nel breve e medio periodo, a cui l’opera prossima di Pierpaolo dovrà far fronte.
















