Mauro Reggio è un pittore la cui
visione artistica unisce perfettamente tradizione ed innovazione. Figlio di una
cultura classica, Reggio, dalla seconda metà degli anni ’90 focalizza il
proprio sguardo verso il paesaggio urbano, in una prospettiva pittorica di tipo
figurativo e moderno, estraendone una visione depurata, desertica.
Come in un viaggio simultaneo attraverso le epoche, i secoli e gli stili,
Reggio unisce le tangenziali alle rovine classiche, il Barocco al razionalismo
novecentesco, l’archeologia alla tecnologia.
I monumenti della città antica, moderna e postmoderna vengono dunque uniti da
un impianto coloristico legato alla grande tradizione italiana del XX secolo,
rinnovato e trasformato però dalle riflessioni sul rapporto tra la pittura, la
fotografia e le nuove tecnologie con cui il pittore realizza la sua personale
opera di selezione dei dati percettivi e costruttivi.
Le sue opere presentano un’unione di stili: barocco e razionalismo, permeate da una sensazione di solitudine. Si sente figlio della metafisica del 900?
Diciamo che questa è un’associazione che si è creata man mano con lo sviluppo del mio percorso. Provengo dagli studi classici, ho frequentato il liceo artistico e l’accademia di belle arti, per cui ho avuto degli insegnanti che a loro volta erano stati allievi della scuola romana degli anni ’30 e per cui mi hanno trasmesso un certo tipo di tradizione. Cominciando con un percorso classico formato da modelle, nudi, nature morte ad un certo punto ho percepito l’esigenza di creare la mia visione artistica dipingendo soltanto paesaggi ed è una pittura che nasce dal vero, da quel che vedevo fuori la finestra. Poi, durante il mio percorso ho cominciato a togliere il superfluo, partendo ovviamente dalle persone, e quindi si è venuto a creare l’accostamento alla metafisica per via del fatto che mi sono concentrato solamente sui monumenti. Ciò che in realtà mi interessa raccontare non è la realtà che puoi vedere tutti i giorni, per quello c’è la fotografia, ma piuttosto l’identificazione dell’istante in cui dipingo e togliendo ogni tipo di azione che possa, attraverso il proprio movimento, turbare la staticità dello spazio. Voglio dare un’idea di tempo non definito, un luogo privo di momenti temporali precisi, ad esempio dove uno scorge l’alba un altro vede un tramonto.
Attraverso quale processo è possibile raccontare quel vuoto?
È un processo di introspezione. Amo definirmi un pittore nel senso classico del termine, infatti tutti i giorni dipingo proprio in virtù del fatto che per me è una necessità. Quello che mi piace è raccontare una storia attraverso un quadro, soprattutto per comunicare una sensazione e amo pensare che anche un bambino, guardando un mio quadro, possa riconoscere il Colosseo ad esempio. Se noti bene, le mie opere sembrano appartenere sempre allo stesso ciclo, un po’ come le bottiglie di Morandi che in realtà erano un pretesto per dipingere e quindi comunicare un’esperienza.
Camillo Langone descrive il Colosseo da lei ritratto così: “Mai come stavolta appare simbolo di resistenza al tempo e alle avversità, solido riferimento per un’umanità disorientata.” Crede nell’eternità dell’arte?
No, possiamo fare il nostro in piccola parte ma il vero lavoro sta nelle mani di chi verrà dopo di noi. Al mondo ci sono stati molti Van Gogh, ma lui, Vincent, è stato fortunato ad avere un fratello che dopo la morte ha fatto in modo che i suoi quadri potessero essere visti così da riscoprire l’anima di questo genio. Ma quanti altri, magari anche meglio di lui, sono scomparsi nel nulla? Non lo sappiamo purtroppo perché non abbiamo avuto modo di approfondire. Poi esistono situazioni in cui a tavolino si scrivono le storie che devono essere ricordate.
Che forme ha la città ideale per Mauro Reggio?
La forma del silenzio. Attraverso di esso la mente può viaggiare libera al di fuori di ogni condizionamento, pensa che per anni ho dipinto ascoltando moltissima musica, classica, jazz, però ormai sono un po’ di anni che dipingo nel silenzio assoluto. Non credere che lo faccia in un bunker o in una campana di vetro, però ricerco quel silenzio cittadino, non facile da ottenere così da poter mettere tutto me stesso sul colore. Per quanto riguarda l’architettura che mostro nelle mie opere è frutto dei miei studi scolastici, infatti sono molto legato alla geometria.
Il silenzio può avere un colore?
Potrebbe essere l’insieme dei colori primari mescolati tra loro, ma non credo che abbia un vero e proprio colore. È una concezione astratta che ci porta ad un’immagine figurativa, ciò si lega anche al fatto che amo spogliare i monumenti di tutto quel può risultare superfluo, lasciandoli nel più profondo silenzio.