Le bugie hanno le gambe…lunghe: la mostra che fa inciampare lo sguardo

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Ci sono esposizioni che non si limitano a presentare opere, ma creano piccoli mondi da abitare. La personale di Antonella Casazza, “Le bugie hanno le gambe corte”, curata da Felice Terrabuio e Valeria Angelini, è una di queste: un viaggio surreale e ironico in cui le bugie smettono di essere categorie morali per trasformarsi in presenze vive, autonome, capaci di muoversi da sole.

Il titolo, già proverbiale e noto a tutti, diventa qui la chiave per ribaltare ogni aspettativa: anziché smascherare o denunciare, l’artista sceglie di raccontare la bugia attraverso il corpo che non mente mai—le gambe. Gambe smisurate, smembrate, che si ripetono e si reinventano, abitate da colori sgargianti, pattern giocosi, gesti infantili e posture teatrali. Non hanno volto, e proprio per questo si fanno metafora: camminano al posto nostro, inciampano come noi, e come le nostre parole incerte finiscono per rivelare più di quanto vorrebbero nascondere.

Il percorso visivo parte dalle vetrine urbane del MIMUMMO – Micro Museo di Monza, che diventano quinte sceniche per queste presenze sfrontate. Spuntano dietro i vetri come marionette ingovernabili, ora vestite di righe verticali rosso fuoco, ora immerse in paesaggi marini con coralli e anemoni, ora adagiate in un prato verde. L’effetto è straniante lo spettatore si ritrova a fare i conti con gambe più grandi di lui, che sembrano muoversi davvero, con un passo che è ora danzante, ora goffo, ora teneramente buffo.

Accanto a queste installazioni, Casazza porta avanti il suo linguaggio pittorico, nutrito da un surrealismo ironico e da una vena simbolista che non si prende mai troppo sul serio. Nei suoi acquerelli, gli spazi quotidiani diventano teatri dell’assurdo: un bagno popolato da lavabi e vasche rosa si trasforma nello scenario di un corpo che si sveste, lasciando intravedere l’inadeguatezza e l’ironia della vita domestica. Qui la bugia non è più colpa, ma occasione per sorridere della fragilità umana.

La tavolozza è chiara, luminosa, punteggiata da tonalità accese che rimandano a una dimensione infantile, quasi fiabesca. Le gambe diventano segni grafici, colonne verticali che dividono lo spazio e insieme lo ricompongono, come se disegnassero un linguaggio segreto. È un alfabeto visivo che non ha bisogno di parole: sono i colori, i motivi, gli sfondi mutevoli a guidare lo spettatore verso un significato che non vuole mai essere definitivo.

Questa sospensione, questo continuo oscillare tra gioco e mistero, tra ironia e malinconia, è la cifra poetica della mostra. “Dipingo per dare voce a ciò che non ha voce: i dubbi, i sogni, le verità che zoppicano,” afferma Casazza. Ed è proprio nello zoppicare, nel passo incerto e imperfetto, che si trova la forza del suo lavoro. Le bugie non vengono condannate né giustificate: vengono restituite alla loro natura di storie mobili, invenzioni fragili che, mentre cercano di nascondere, finiscono per svelare.

Osservando queste gambe giganti, lo spettatore è invitato a riflettere su sé stesso: quante volte le nostre verità hanno vacillato? Quante volte un passo sbagliato ha raccontato più di mille parole? Le opere di Casazza ci ricordano che l’inganno ha un corpo, che il desiderio ha un’andatura, che la speranza può camminare da sola persino quando non ha volto.

La mostra si trasforma così in un piccolo rituale urbano, un pellegrinaggio laico attraverso immagini che non cercano risposte ma sollecitano immaginazione. E quando ci si allontana dalle vetrine del museo, si resta con la sensazione che quelle gambe continuino a seguirci, a camminare al nostro fianco.

In fondo, sembrano dirci: “Nulla è come appare, e anche l’inganno ha un passo tutto suo.

Antonella Casazza cortesia della Galleria San Paolo Art