Da Napoli a nord dell’Equatore il nuovo folk italiano passa di qui

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LaMaschera_Foto8_preview«E’ stato un buon periodo per raccogliere storie». Roberto Colella si riferisce ai tre anni intercorsi tra ’O Vicolo ‘e l’Allerìa e Parco Sofia, ovvero tra il primo e il secondo disco di La Maschera, la band che ha fondato nel 2013 e di cui fanno parte Vincenzo Capasso (tromba),  Antonio Caddeo (basso), Marco Salvatore (batteria) e Alessandro Morlando (chitarra elettrica).

Per il gruppo napoletano si è parlato di Parco Sofia come dell’album della riconferma, ma Roberto commenta: «Forse in musica non si dovrebbe vivere l’incubo del “dimostrare” necessariamente qualcosa, del non deludere le aspettative. Credo ci si debba preoccupare principalmente dell’essere sinceri, almeno con se stessi. Così facendo, ogni disco diventa la riconferma di se stessi. Ogni volta si potrà dire: “questi siamo noi adesso”».

E a proposito della loro identità, con questo nuovo lavoro uscito per Full Heads i La Maschera non lasciano dubbi: con il loro folk partenopeo rappresentano una delle realtà più talentuose e originali della nuova scena musicale. Rispetto alla loro opera prima allargano perfino l’orizzonte, facendo incontrare Napoli e l’Africa, tra melodie intrise di malinconia ed un’energia incontenibile. Tutto nasce da un incontro vero e casuale tra Roberto e il musicista senegalese Laye Ba: «Eravamo a piazza Dante impegnati nel concerto per gli operai della FIAT quando a fine serata si avvicinò e mi diede il suo biglietto, dicendo che avrebbe avuto piacere ad incontrarmi. Il giorno successivo eravamo a casa sua e, senza conoscerci, nacque Te vengo a cercà [uno dei pezzi più belli del disco, ndr]. Da lì, inevitabilmente, mi sono avvicinato alla musica africana, al suo mondo, a scrittori e musicisti come Salif Keità, Ali Farkà Tourè, Baaba Maal» racconta il leader della band.

E’ seguito poi un viaggio in Senegal: «E’ stata un’esperienza difficile da rendere a parole. Abbiamo avuto la fortuna di vivere a pieno la parte popolare di Dakar, lontana dalle dinamiche turistiche occidentali. Eravamo ospiti della famiglia di Laye Ba, in un quartiere dove la povertà non ha nulla a che vedere con la nostra crisi».

Chesta è Napule e non è Africa”, canta Colella, nato a Villaricca, con l’amico africano.

la mascheraMa cos’hanno in comune Napoli e l’Africa? «L’impressione è che più si va a sud e più certe cose si amplificano. I ricchi sono più ricchi, a scapito dei poveri che purtroppo sono parecchio più poveri. Trovo ci siano in comune valori grandi come la generosità, la semplicità assoluta, l’amore per la terra, la nobiltà d’animo», spiega il cantante, cui serviva un luogo, come lui dice, «dove collocare il binomio Napoli-Africa». Da qui il titolo: «ParcoSofia è il posto in cui ho vissuto per 25 anni, in cui la presenza di persone socialmente e culturalmente diverse si manifesta in un miracolo di convivenza. Case popolari, teatro delle scene più assurde. E’ una giungla nella realtà, sembrava incarnare bene ogni cosa».

Ed ora che la loro seconda prova è stata superata a pieni voti, cosa sperano i La Maschera per il loro futuro? «Suonare, suonare e ancora suonare! Visitare posti, scoprire suoni. Mi piacerebbe un tour in Africa, così come spero di andare in Argentina. E poi potremmo produrre dischi per altri, fare arrangiamenti. Ma il primo obiettivo resta sempre quello di “stà buon”!».