Sorprendente rivisitazione della vita di Elisabetta d’Austria, in cui squarci violenti di modernità irrompono sulla scena, è adesso la nuova pièce teatrale Sissi l’imperatrice, di Roberto Cavosi. A interpretarla e a produrre lo spettacolo è Federica Luna Vincenti, che incarna una Sissi moderna, anticonformista e profondamente tormentata. Dopo la prima nazionale, tenutasi al Teatro degli Illuminati di Città di Castello , lo spettacolo ha fatto tappa al Teatro Parenti di Milano, accolto calorosamente dal pubblico, per poi proseguire la tournée fino al 6 aprile.
“Non volevo solo rappresentarla, ma farla vivere, darle una nuova esistenza, più vicina al nostro tempo. Sissi ha cercato disperatamente di vivere secondo le proprie regole. Vorrei che lo spettatore uscisse con questa consapevolezza: che non bisogna avere paura di essere diversi, inquieti, in cerca di qualcosa di più grande”, ha spiegato Federica Luna Vincenti, 41 anni, pugliese di Parabita, in provincia di Lecce, dipolata all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico,” un figlio di 19 anni Gabriele, nato dal matrimonio con Michele Placido. Artista dal talento poliedrico, attrice, cantante, compositrice, produttrice (nel 2004 fonda la Gol¬denart Production, con la quale produce numerosi spettacoli teatrali, lungometraggi e cortometragg, con una squadra tutta al femminile). Al suo fianco un cast di tutto rispetto: Ira Nohemi Fronten, nel ruolo di Katharina Schrat, assoldata dalla imperatrice come amante di Francesco Giuseppe; Claudia Marsicano, la limatrice; Miana Merisi nel ruolo di Fanny Angerer, la parrucchiera di corte, e Milutin Dapcevic. il medico. Light designer Gerardo Buzzanca. Light designer Gerardo Buzzanca. Musiche firmate dal suo Oragravity ( ovvero Umberto Iervolino e la stessa Federica Luna Vincenti). I costumi di Paola Marchesin sono stati realizzati da Tirelli, sartoria da abiti da Oscar (Il Gattopardo, uno per tutti).
Roberto Cavosi, autore del testo nonché regista, ha scandagliato nei diari e nelle poesie a cui Sissi affida i tormenti dell’anima e gli stati d’animo, ispirandosi al suo poeta preferito Heinrich Heine che definiva “maestro”. Fu l’imperatrice in persona ad affidarli, nel suo testamento “alla cara anima del futuro” per essere pubblicati non prima ma non prima di sessant’anni dal 1890 “a beneficio dei condannati politici più meritevoli e dei loro familiari bisognosi. Nel 1980, al momento della prima pubblicazione, i diritti d’autore vennero devoluti al Fondo di Soccorso dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati e i ricavi nell’edizione successiva furono donati ad Amnesty International.
Si deve desiderare tutto, essere indifferenti a tutto, scrive nei suoi diari. Visse infelice e tormentata, nello sfarzo e nell’inquietudine, costantemente in fuga dalla rigida corte di Vienna. La morte si era fatta attendere alla fine era venut, quando fu assassinata sul lago di Ginevra il 10 settembre 1898 dall’anarchico italiano Luigi Lucheni, che la uccise colpendola al petto con una lima usata come pugnale.
Tutta l’azione scenica si svolge in una sorta di palestra, la stanza in cui Elisabetta trascorreva la maggior parte del tempo (si faceva attrezzare una palestra con anelli ,sbarre , pertiche e pesi in ogni palazzo reale nel quale si trovasse a soggiornare). Sissi appare in trono, un trono ridicolizzato e trasformato in seggiolone-scranno da arbitro di tennis. Esibisce un volto in maschera come un Pierrot Lunaire, lo sguardo beffardo, sprezzante, ha in testa una calotta nera per parrucca, un corpetto nero da palestra legato molto stretto con cordini in seta, calzamaglia e pantaloni in jersey di seta, stivaletti. Sul pavimento gabbie colme di scarpe, oggetti, ricordi e fogli di appunti e note poetiche. In preda ad un’estrema consapevolezza, quasi agghiacciante, un’ombra di follia e di morte traversa il suo sguardo.
In un’ora e mezza circa gli spettatori si ritrovano scaraventati in un cabaret espressionista di inizio Novecento, in giochi cromatici e di contrasti fra toni freddi e pungenti. Iin un crescendo del registro grottesco , volutamente esagerato, che stride- come suoni dissonanti- con il ritratto che man mano si compone mettendo in luce una donna che non può che colpirci nel profondo. Ribelle, anticonformista, amante della libertà, in conflitto con le rigide convenzioni della corte asburgica, da lei definita “una schiatta depravata”. Antimperialista e disgustata delle atrocità delle guerre che vedeva intorno a lei, vicina alle masse operaie, alle minoranze etniche, contraria ad ogni forma di sopraffazione e oppressione. Una donna dal feroce sarcasmo e al contempo di grandi malinconie. Una donna che aveva dentro una voragine di dolore. Il più profondo, quello della perdita di due figli: la femmina primogenita Sofia (durante un viaggio in Ungheria, piccola Sofia, che aveva due anni, si ammalò gravemente e morì. Sissi era distrutta. Addossandosi tutta la colpa) e poi l’unico maschio, Rodolfo, suicida. E poi le drastiche diete ,le estenuanti sedute di ginnastica, la sfiancante allacciatura del corsetto, dentro cui Sissi si fa costringere dalla cameriera con una furia piena di un compiacimento autolesionista, fino a non respirare. Tra paranoie e rituali di bellezza estremi ai limiti dell’ossessione. La cura maniacale per i suoi detestati capelli (“miei capelli sono la mia prigione, il mio corpo il mio tormento”) Intenta a sorvegliare con narcisistica attenzione i suoi 45 centrimetri di vita. Ossessionata dalla cura del corpo che per lei non era solo vanità e ricerca di perfezione ma un campo di battaglia dove esercitare un controllo estremo. Voleva diventare aria. Il pensiero di Elisabetta si dipanano in sei quadri attraverso dialoghi spesso serrati dalla filosofia al sesso, dalla politica all’arte, con la la parrucchiera confnidente Fanny impegnata a pettinare una parrucca invece de i capelli, lunghissimi, che arrivarono a sfiorare le caviglie e che richiedeva tre ore di lavorazione ogni giorno . Con la limatrice incinta che partorirà in scena un elmetto, ad evocare i figli dei poveri usati come carne da macello dall’Impero asburgico; l’attrice Katharina Schratt, a cui affida il compito di sedurre Francesco Giuseppe, liberata così dai suoi doveri coniugali.
A questi dialoghi fanno da contrappunto proiezioni video che sono anche proiezioni di un animo tormentato, dalla cupa marea di ombrellini dietro a cui si nascondeva, ai volti impauriti di soldati smaciullati dalla guerra imperialista.
La prova attoriale è convincente e appassionante, con la protagonista Vincenti che offre una recitazione matura, diretta e decisa, fra rabbia e dolore, carica della fredda consapevolezza del dolor e di quel cinismo e quel disincanto che come scriveva Emil Cioran, grande estimatore di Sissi, era una forma di maschera dell’ infelicità inseparabile dalla malinconia. Tuttavia, sempre più perplessi ci avviamo al finale: pur apprezzando l’intento di decostruire gli stereotipi cuciti addosso alla sua figura, a non convincerci è la scelta registica di insistere sul registro tragicamente grottesco-dark, privando la figura dell’imperatrice di quella complessità che proprio la rilettura intende perseguire. Dopo l’insopportabile immagine zuccherosa di Romy Schneider, perché adesso accanirsi così crudelmente in una maschera grottesca? Un vero peccato. Ma nel finale tutto converge in un’alta sintesi drammatica ed emotiva: il dottore le slaccia lentamente il corsetto macchiato di rosso, proprio quel corsetto talmente stretto servì per pochi attimi a contenere l’emorragia interna e aveva in qualche modo sostenuto il cuore. Sissi spira. Con questa immagine di antica tragedia chiude lo spettacolo.