Anna Della Rosa e il segreto della Duse: “La felicità è dietro le quinte”

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Anna Della Rosa Credit Laila Pozzo

L’attrice milanese Anna Della Rosa sta vivendo un periodo davvero intenso e ricco di soddisfazioni. Da pochissimo le è stato assegnato il Premio Duse, il prestigioso riconoscimento dedicato alla migliore attrice teatrale della stagione 2023/24. E ha vinto anche  Il Premio della critica 2024. E’ ora impegnata  in tournée  fino al 28 marzo con  la replica di Antonio e Cleopatra di Shakespeare con la regia di Valter Malosti. Il tempo di rifare le valige (“che invenzione geniale il trolley”!) e  riparte (Volterra, Ancona, Venaria reale  e Firenze) portando in scena Accabadora”, tratto dal romanzo di Michela Murgia per la regia di Veronica Cruciani.

Dove tieni tutti i premi ricevuti? Ne ho contati grossomodo sono più di una ventina, il primo ETI Gli olimpici del teatro nel 2008 come migliore attrice emergente per La trilogia della villeggiatura con la regia di Toni Servillo

In soggiorno, a vista su uno scaffale. Un tempo per una sorta di pudore li tenevo nascosti, oggi invece penso che sia bello esporli e averli costantemente sotto gli occhi. Con grande gioia e orgoglio. Con senso di gratitudine.

Dice la motivazione del Premio della critica 2024: “per una dedizione sacerdotale e rituale all’arte della scena e al mistero della parola incarnata“.

Sono d’accordo e non lo dico per presunzione. La sacralità appartiene per diritto di nascita al teatro. Un luogo sacro perché ci mette in contatto con quanto c’e di piu misterioso e inafferrabile dentro l’ essere umano. Per rendere “sacro” il teatro è necessario “sacrificarsi”, donare e donarsi a lui con devozione. I devoti sono persone votate a qualcosa. L’impegno, la cura, lo studio, la fatica sono indispensabili. Come un contadino che, ogni giorno, ara, semina, miete il suo campo.

Cos’è per te il teatro?

Il luogo dei possibili. Vivere all’ennesima potenza. Un’avventura umana, appassionante. È il mondo in cui io trovo linfa, necessità e felicità. Non potrei immaginarmi altrove

Quando hai capito che la recitazione sarebbe stato il tuo gioco preferito?

Alla Casa degli Scoiattoli. Sono di Milano però ogni estate – dai 4 ai 14 anni – passavo un mese in questo Kinderheim in Trentino: fra le varie attività si creavano spettacolini. Ero felice. E da lì è nato il desiderio di sentirmi così felice per tutta la vita. Sono contenta che una parte di quella bambina sia rimasta intatta.

Studi?

Mi sono diplomata all’accademia d’arte drammatica Paolo Grassi e più o meno contemporaneamente ho studiato lettere moderne all’Università Statale, poi ho iniziato a lavorare e la laurea è arrivata diversi anni dopo in Storia del Teatro.

Quanto reciti nella vita reale?

Non più degli altri (ride). Cerco di tirar fuori, con le persone, quello che sono davvero. E poi non recito neppure sul palcoscenico, cerco semmai di veicolare in maniera onesta dei sentimenti autentici. E’ il paradosso del teatro: dire la verità nella finzione.

Hai un luogo deputato dove leggere il copione teatrale?

Sdraiata sul letto o sul divano. E non ditemi che fa male alla salute! Impossibile per me sedermi al tavolo, anche da ragazza non riuscivo a studiare su una sedia, neppure con una bella imbottitura. Prendo appunti, ho elaborato un sistema di segni grafici-virgole, un arco le virgole un arco in che mi ricordano che in quel punto devo fare pausa, o è il momento di respirare, di sospirare, quanto prolungare una vocale o una tonalità ,quanto far durare un intervallo tra una parola e l’altra. Il copione diventa una sorta di spartito musicale.

Come ti prepari su un testo o un personaggio?

E’ un’alchimia e un lavoro d’ascolto profondo. di quello che c’è nel testo , e cioè dell’opera e della scrittura. Questa è già un’azione potentissima, è già interpretazione. Le parole sono la mia guida, sono loro che comandano il ritmo. Per sentire il personaggio è necessario fidarsi anche della parte di sé più istintiva, sensoriale, e lasciare che si manifesti. Non è tanto pensare, architettare, ma al contrario non pensare, non architettare, lasciare che succeda quello che, momento per momento, pagina dopo pagina, succede. E non tutto è spiegabile, non tutto è quantificabile.

Con un personaggio non ci si identifica?

Al massimo lo si può «abitare», incarnare. L’attore è parola incarnata. Puoi prestare il tuo corpo alle emozioni del personaggio e alla parole dell’autore. Ma è un’esperienza personale che non ha nulla a che vedere con l’identificazione, piuttosto con l’immaginazione. Nelle parole di Orlano che Virginia Woolf ha scritto pensando a Vita Sackvìlle-West esiste un punto di giunzione surreale, quando devo immaginare cosa sarei stata se fossi stata una donna. Ed io sono una donna!

Qual è il segreto, se c’è, per rimanere fino in fondo sempre se stessi pur affrontando molti personaggi?

Mi sono innamorata del teatro proprio perché mi offre la possibilità di sperimentare qualcosa che non sia l’io rigido dentro il quale ci rinchiudiamo. La fissità non mi appartiene. Penso all’identità come a un processo dinamico, in continua evoluzione, plasmato dalle esperienze individuali, dalle interazioni sociali e dalle sfide culturali. Spesso restiamo invece aggrappati a quanto pensiamo di essere. Ci rassicura il pensiero di possedere contorni ben nitidi e marcati, un pezzo “pezzo unico”, sempre uguale a se stesso, solido, permanente, stabile. Invece in verità siamo esseri multiformi . Per me è importante cercare di essere fedele a me stessa, he significa saper leggere cosa cosa provo e desidero, e agire in conformità con quanto sento e penso. In altre parole essere autentici. È quello che accade in Orlando che con l’identità gioca di continuo.

Il camerino è la linea di passaggio dalla vita reale alla rappresentazione, assorbe e riflette la concentrazione e la tensione dell’attore prima di andare in scena, assiste alla metamorfosi del trucco e della vestizione. Hai un rituale?

Cerco di arrivare in “anticipo”. Scaldo ancora un po’ la voce, faccio qualche esercizio di yoga o mi sdraio semplicemente per terra ad occhi chiusi. Mi preparo una tisana con il mio fornellino portatile che mi da la sensazione di “cuccia”. Poi stendo la tovaglietta ricamata con le cigliege rosse che mi ha regalato tanti anni fa la nonna, apparecchio i mie trucchi e inizio a truccarmi il viso.

La Duse diceva che il suo momento perfetto non è sul palcoscenico davanti al pubblico adorante e applaudente, ma quando varca la soglia dell’entrata degli artisti e percorre un corridoio buio e sente le voci della sua compagnia che sta provando, senza costumi di scena, con gli abiti di tutti i giorni. Quella era la felicità per Eleonora Duse. E la tua?

Sul palcoscenico, in quello spazio tempo in cui tutto deve ancora accadere. E ascolto il silenzio carico di aspettative degli spettatori che riempie la sala.. L’energia che si crea in quell’istante che accade lì, in quel momento, e mai più. E’ un incantesimo diverso ogni sera, uno spettacolo cambia sera per sera, cambiano con l’umore degli attori, con le cose che succedono nella vita, con il pubblico. Tanto che non avrebbe nemmeno senso parlare di “repliche “teatrali”!

Che cosa resta dei gesti e della voce che quella sera, e solo quella sera, gli attori hanno plasmato sul palco?

Anche se non si potrà mai più riafferrare l’energia magica dell’attimo teatrale vissuto in sala, quell’attimo continuerà a viaggiare vivo nel mondo. Ponendoci inevitabilmente domande. Il teatro ci interroga. Cosa intendiamo farne?

Sei di nuovo in tournée con Antonio e Cleopatra

E’ stato il mio primo Shakespeare! Ne amo la libertà, la follia! La regia (di Valter Malosti, suo compagno d’arte e di vita, che ha il ruolo di Antonio, ndr) tira fuori bene questa poliedricità: ora è tragica, ora comica; ora seduttrice, ora bambina innamorata, ora tenera, ora tiranna spietata… Una donna all’ennesima potenza, che rende ogni sentimento un’esplosione. Impersonare con Valter questi due magnifici, esaltanti pazzi ogni sera è una felicità.

Antonio e Cleopatra Credit Tommaso La Pera

La battuta che hai più nel cuore?

Cleopatra è davanti allo specchio per il trucco nel camerino di un’attrice e prende il coraggio di uccidersi per non cadere schiava di Cesare Ottaviano. ” Vengo o mio sposo. Ora il mio coraggio mi farà degna di questo nome di sposa. Io sono fuoco e aria; lascio gli altri miei elementi a una forma di vita inferiore. La mia decisione è presa, e di femmineo non ho più nulla in me: da capo a piedi sono salda come il marmo”. Nella potenza dei versi di Shakespeare c’è tutta la fierezza, l’amore di una donna che non si piega e si uccide come gesto estremo di libertà.

Cosa ti ha insegnato Cleopatra?

A dare piu spazio al fuoco, qualcosa che avevo sicuramente di mio, però non era ancora stato espresso in maniera piena. A trovare dentro di me una mia voce piu profonda, anche piu sensuale che ha arricchito la gamma dei toni espressivi. Si è rivelato una bella scoperta.

Ti scateni anche nella danza. E monti con destrezza a cavallo

Ero un’amazzone brava, benché non gareggiassi. Il cavallo è una creatura che mi dà gioia.

Orlando credit Andrea Macchia

Parliamo di Orlando, di cui sei protagonista, cha ha debuttato in prima nazionale al Teatro Astra TPE di Torino, lo scorso dicembre, e in attesa di nuove date, lo speriamo davvero. Cosa ti ha stimolato nel portarlo in scena? Si coglie che sei in stato di affinità elettiva con il testo.

Quando Andrea De Rosa, mi ha proposto l’Orlando, ho detto: “Sì. Lo faccio”, qualunque cosa sarebbe stata. Avevo letto il romanzo della Woolf molti anni fa e poi chissà come- l’avevo ripreso in mano un annetto fa. E l”immaginario del film diretto da Sally Potter con Tilda Swinton, premiata con Leone d’oro come miglior attrice straniera a Venezia nel 1993, resta ancora a distanza di anni di grande fascinazione. A conquistarmi definitivamente è stata l’intuizione registicadi De Rosa di intrecciare il romanzo Orlando che la Woolf ha dedicato alla amata Vita SackvilleWest, con le lettere a lei idiirizzate e raccolte in “Scrivi sempre a mezzanotte”. Lo spettacolo esplora il flusso profondo del suo processo creativo e della passione amorosa che lo ha ispirato. Non c’è una netta separazione tra le parole di Woolf e quelle di Orlano. L’una scivola nell’altra senza soluzione di continuità.

Un monologo di sessanta minuti dal ritmo incalzante a cui dai corpo e voce passando da un registro stilistico all’altro a tratti ironico, drammatico, con la forza e la fierezza di un desiderio smanioso di Vita, di una fame di gioia e di vita, che travolge, indagando un tema complesso come quello dell’identità. Con inesauribile energia fisica, percorrendo il palcoscenico da un angolo all’altro, in preda al fervore creativo e alla passione amorosa, per poi abbandonarti stremata a terra. Dove trovi tutta quella energia?

Sì, richiede grande allenamento di fiato e concentrazione; mi sono dovuta allenare, come si fa nelle gare sportive (ride). A casa faccio un po’ di yoga, mai abbastanza, e scaldo la voce con esercizi performanti rafforzati dall’incontro con Francesca Della Monica . E poi quella grande quercia che domina la scenografia, mi metteva una gran voglia di correre, Ma a dirmi tutta quella energia è la felicità che mi da questo testo stupendo. ” Vita mi manchi e basta, in un modo piuttosto semplice, disperato, umano. Mi manchi più di quanto potessi credere”. Non è bello finire così una lettera?