Flavio Favelli, un cocktail fatto ad arte

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Flavio Favelli, Nuova Mixage Up, Fondazione Zeri. Foto Trapezio Roveda (1)

216 bottiglie di liquori di forme e dimensioni e colorazioni diverse, carichi di memoria, raccolte dall’artista nel corso degli anni, private delle loro etichette, posizionate su grandi scaffali in legno, in cui sono disposte in ordinata esposizione, tutte ancora chiuse con all’interno il loro contenuto originale. E’ la nuova, grande installazione di Flavio Favelli (Firenze, 1967) intitolata Nuova Mixage Up, un progetto a cura di Roberto Pinto, pensato appositamente per la sala di lettura della Biblioteca Zeri, sede della Fondazione Federico Zeri, situata nell’ex dormitorio delle novizie del convento rinascimentale di Santa Cristina, che offre un contesto unico e suggestivo per l’installazione dell’artista bolognese: un grande patrimonio di volumi d’arte, custoditi nelle librerie che rivestono le pareti dell’open space coperto da capriate lignee che il grande studioso e critico d’arte scomparso nel 1998 ha asciato all’Università di Bologna.

Anche questa nuova installazione gioca su due registri complementari nel lavoro di Favelli: un “lessico famigliare”, autobiografico -intrecciato a riferimenti culturali condivisi. In un cortocircuito tra arte contemporanea e memoria del luogo. Risonanze cercate sempre dal lavoro di Favelli ma che in questa occasione sembrano amplificare ancor di più le possibilità interpretative del suo lavoro. Perché .quando si prendono in causa le bottiglie – come scrive Roberto Pinto, curatore della mostra, – non si può non pensare anche al lavoro di Giorgio Morandi considerato poi che la sede della Fondazione Zeri è proprio in piazzetta Morandi, a non più di cento passi dalla casa di Morandi in via Fondazza. L’installazione per la Biblioteca Zeri consiste nella esposizione di una serie di bottiglie di superalcolici che Favelli ha raccolto da molti anni, e dalle quali ho rimosso le etichette. “Grappe, amari, liquori, vermouth, aperitivi, distillati; ogni regione d’Italia aveva una grande tradizione con ditte che si ingegnavano per comunicare il loro prodotto con forme inedite, nuove e seducenti, entrate nell’immaginario collettivo”, spiega Favelli. L’installazione, che diventa quasi una vetrata colorata, si erge a cattedrale della memoria. Un omaggio alla cultura materiale italiana e una riflessione su tempo

Fiorentino di nascita ma bolognese d’adozione sin dai tempi dell’università, Flavio Favelli, classe 1967, resta un artista inafferrabile. Anti mondano, caparbiamente fuori dal coro dei temi stereotipati più caldi dell’attualità politica .Vive (dal 2001) in un luogo appartato lontano dal rumore molesto del mondo, difficile da raggiungere, un paesino praticamente abbandonato dell’appennino bolognese, un borgo di 2.735 anime 30 km da Bologna: Savéggn in dialetto bolognese. Uno spazio ricavato da un ex fienile, restaurato da lui e trasformato in una casa-studio, laboratorio, magazzino, fucina d’idee. Uno spazio stipato di vestiti vintage, bottiglie. insegne al neon, sedie, vetrine, cappelli Borsalino, le madie in legno massiccio delle case delle nonne, i lampadari delle case eleganti, i vassoi d’argento delle feste. Qui riportiamo una recente intervista che ci ha rilasciato, in cui si racconta tra vita, arte e aneddoti, e qualche provocazione.

Flavio Favelli, Nuova Mixage, 2020-2024, composizione di bottiglie senza etichetta, misure varie

Come nasce il titolo della nuova installazione?

Quando bambino andavo nella casa dei nonni in via San Vitale , aprivo lo sportello del mobile bar –l’anta lasciava la pressione sull’interruttore e le pareti specchiate s’illuminavano: tutte le bottiglie brillavano di verde e di rosso e di nero e poi gli ambrati e i bicchieri con la reclame del Punt e Mes e i nomi delle marche con stemmi e blasoni”. Nuova Mixage era il nome di una vecchia cassetta regalo di legno che conteneva 6 bottiglie della Martini & Rossi: Martini Bianco, Rosso, Dry, China Martini e 2 spumanti. Le 6 bottiglie erano disegnate in nero sul coperchio, come una fotocopia. Bellissime. Da qualche parte avevo sentito, oppure me l’ero sognata, una voce calda e sensuale che cantava, forse di Ornella Vanoni: tu puoi scegliere ciò che vuoi, bianco, rosso oppure dry, questo è il mondo… di Martiniii.

La scelta di raccogliere, ammassare oggetti, da dove nasce?

Fin da piccolo, mi hanno sempre colpito moltissimo le tombe dei faraoni in cui ci si portavano tutte le cose, oggetti rituali ma anche quelli d’uso quotidiano, banali attrezzi e preziosissime suppellettili. Cose d’uso quotidiano, estremamente semplici in apparenza, provviste però di un senso rituale, quasi magico. Anche tutto l’appartamento di mio nonno era quasi una Wunderkammer, le domeniche le passavo a guardare quelle cose. Col mio lavoro sto facendo qualcosa, in parallelo, perché è come se stessi realizzando una “tomba” da vivo.

Le sue opere sono apprezzate dal pubblico proprio perché fanno riaffiorare alla mente sentimenti e ricordi lontani creduti ormai persi nel tempo,

Il rapporto con le cose che ritrovo, cerco, smonto e ricompongo mi dona un piacere immenso, mi rassicura. È un rapporto di natura amoroso, psicologica che ha precisi riferimenti, legami, significati nella mia storia personale. Tutta la mia arte è in questo dialogo con immagini che rimandano a un periodo molto preciso della storia italiana. A volte la memoria personale si intreccia a quella del Paese. Credo che le storie possano essere sentite come universali quanto più sono profondamente intime, personali.

“Nell’arte si è soli”, ha dichiarato

Siì, lo penso. Le opere d’arte sono di una solitudine infinita, afferma Rilke. Anche se è stata pensata in solitudine e senza nessuna preoccupazione riguardo al pubblico, lo sguardo del mondo che ti segue sempre. Apparentemente è il pubblico, il confronto con la società, ma in realtà per me è uno spirito che chiama una specie di terzo occhio privato, un demone che attende risposte.

Cosa è l’arte per lei?

Una zona franca che nella modernità assume il ruolo di contraltare alla vita regolare coi diktat della società

Cosa più la infastidisce oggi?

Questa pretesa che l’arte debba sempre per forza dire qualcosa. Tragicamente, tutto deve essere sempre a tema. Nessuno deve mai potere dire un ” ma che c’entra? ma che vuol dire?”. Tutto deve avere sempre un significato facile, letterale, illustrativo, elementare. Perché è meno pericoloso, più comodo e più redditizio.

Il vero nemico dell’arte è il conformismo?

La provocazione nell’arte è una componente importante da sempre. La funzione dell’opera, ammesso che ne abbia o ne debba avere una, è semmai quella, di accendere qualche scintilla. L’ arte non è giusta o sbagliata. Credo che l’arte non si debba porre semplicemente il tema del giusto e dello sbagliato, del bene e del male. Credo anche che l’artista non debba mai rispondere in modo letterale e appropriato. Se un’immagine allontana il pubblico dalla retta via, mi sembra una cosa interessante, meglio portare il pubblico fuori carreggiata che farlo passare dal casello dell’autostrada, ci sono già la TV, i media, i social, internet, la stampa, le grandi mostre e la politica che lo mettono sulla strada ‘giusta’.

 

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