Manuela Carrano e l’importante leggerezza dell’essere

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Manuela Carrano, nata a Varese, artista poliedrica dal segno nomade, che ha trasformato la sua casa milanese in opera d’arte totale, dove vive e lavora nel cuore di Porta Romana, impegnata da sempre in tematiche ambientali, si confida in questa intervista rivelando la profondità della sua ricerca figurativa apparentemente leggera che apre riflessioni sul rapporto tra Uomo e Natura.

Quali studi hai fatto?

Dopo la maturità artistica essendo in attesa del mio primo figlio e non potendo frequentare quindi l’Accademia a Milano, frequentavo la sera la scuola del pittore Augusto Colombo che mi ha insegnato la tecnica della pittura ad olio, l’acquaforte, il disegno a matita e carboncino. In seguito ho frequentato un corso per saldatori per approfondire l’utilizzo dei metalli e del ferro in particolare, sono in continua evoluzione aperta alla sperimentazione. Per vivere non posso far altro che disegnare, dipingere, ricamare, ritagliare, immaginare e progettare.

Nel tuo operare poliedrico e sperimentale che importanza ha il disegno?

Disegnare è il mio linguaggio, il mio modo di pensare, un modo di esprimere quello che vedo. Disegnare invece di annotare. Disegno per tenere vive le cose, preservarle dall’oblio.

Sei figurativa surreale, un’artigiana della creatività, alla ricerca di una bellezza ideale, perché non sei attratta dal l’astrazione?

In realtà mi attrae mi incuriosisce molto l’astrazione realizzata dagli altri artisti, vedo in loro altri mondi a me sconosciuti! La mia è un’inclinazione, un’attitudine spirituale, lontana dall’astrattismo, anche la mia mano segue quel mistero impulso che mi guida di dare una forma a qualcosa che immagino. Sono predisposta a configurare forme armoniose sospese in uno spazio siderale che evocano ma non rappresentano la realtà che vivo, la natura che amo e la banalità del quotidiano che voglio ricordare.

Disegno, fotografia, scultura e opere basate sull’intreccio tra fiabe, racconti e arte: potresti essere un erede di Italo Calvino?

Mi piacerebbe! Mi riconosco nella sua poetica, ho letto tutti i suoi libri. Mi gratifica essere avvicinata all’intellettuale, scrittore, impegnato civilmente e politicamente che ancora oggi ci insegna con la sua opera l’importanza della “leggerezza” dell’essere nella vita quotidiana.

Com’è stata la prima mostra, cosa avevi esposto e che emozioni hai provato?

Per la mia prima mostra a Milano invia Brera, avevo disegnato molte tavole a china sul tema de Les fleurs du mal di Baudelaire, ma i rapporti con il gallerista non andarono bene , così per la delusione, smisi di disegnare per molto tempo, insomma fu un’esperienza non proprio positive che non mai rimosso..

Sei madre e moglie, è stato difficile coniugare i doveri di madre con la tua vocazione artistica?

Sicuramente è stato molto difficile per me, soprattutto psicologicamente, dividermi in diversi ruoli, cercare, combattendo i sensi di colpa, di non far sentire la mia mancanza ai due figli e, allo stesso tempo, cercare di “esserci nel mondo dell’arte”, frequentando mostre , gallerie , conferenze e artisti. Ma non mi sono mai arresa, la sfida è stata dimostrare di essere all’altezza dei ruoli di madre e artista.

Sul piano personale per te la maternità è stata un vincolo che ha rallentato la tua carriera professionale o un arricchimento?

La maternità ha sicuramente rallentato la mia carriera, ma non l’ho mai considerata un vincolo, anzi è l’esperienza più importante che ha dato un senso alla mia vita, poi la mia famiglia ha capito quanto l’arte per me fosse necessaria e ora mi sostiene e incoraggia.

Da oltre vent’anni sei impegnata su temi ecologici, esplori una collaborazione tra uomo e ambiente, ma quali sono le opere che consideri manifesto della tua poetica eco sofista?

Il mio albero d’oro chiuso in una gabbia di ferro esposto al Parco dell’arte all’Idroscalo a Milano, la serie di Alberi ricamati, disegnati, dipinti e scritti su teli di lino lunghi tre metri che componevano il mio Bosco di domani, poi gli animali estinti disegnati con la saldatrice e cervi-albero ricamati, incluse le sagome dorate, l’uovo gigante, la foglia, la mano e il pesce, sculture che dialogano con la natura.

Come nasce una tua opera?

Il mio lavoro è una sorta di mosaico i cui tasselli sono formati dal disegno,dalla scrittura, dal collage, dal ricamo e dalla stampa per animarsi a volte in un video. Ho fiducia in quello che emerge dal lavoro stesso e seguo l’impulso creativo, piuttosto che da un’idea iniziale programmata. I miei lavori nel tempo rivelano in maniera differente chi sono io.

Lavori per cicli tematici: nel 2020 confinata a casa come tutti hai realizzato un’anomala mappa d’Italia “nomade” su velluto nero intessuta con filo dorato. Come sei riuscita a farci viaggiare senza uscire di casa?

La notizia della chiusura totale mi aveva angosciato quasi quanto la paura del contagio, ho pensato quindi di reagire partendo per un viaggio mentale che mi avrebbe condotta nei luoghi delle mie origini vissuti o visitati nel passato da me, compresi quelli raccontati dai miei genitori, o i più conosciuti dalla memoria collettiva. Necessaria per me è sempre l’azione, il lavoro, la mia mente si muove intorno alla necessità di dare forma a qualcosa,  ha bisogno delle le mie mani che devono intrecciare, disegnare cucire e dipingere. Ricamavo ogni giorno una regione, annotavo i miei pensieri su quello che poi è diventato un Diario di viaggio postando il lavoro “sartoriale” sui social e accompagnando le immagini con musiche che avessero una storia parallela al luogo “visitato” o riemerso dalla mia memoria. Così è nata un’opera totale, “ITALIA”, un manifesto programmatico di connessione tra disegno, scrittura, musica, video, letteratura infraspaziale.

Viaggio, metamorfosi , trasformazione, dialogo tra Natura e immaginazione sono alla base della tua poetica, ma che importanza ha l’albero cifra distintiva nel tuo lavoro?

Considero gli alberi che incontro durante le mie camminate degli amici che mi osservano e che, con la loro presenza, mi danno pace, cerco sempre di conoscere i loro nomi anche se so che a loro, in realtà, non interessa niente di noi. Loro, punto di congiunzione fra terra e cielo, sono simbolo del ciclo della vita e della morte, offrono riparo e protezione a molte specie animali, dalle loro radici i funghi micorrizici distribuiscono nutrimento ad altri vegetali, rappresentano rinascita, conoscenza, durevolezza e armonia.

Oltre all’albero, sei riconoscibile per altre sculture totemiche di forme simboliche, come l’uovo, la mano di Fatima e di recente i cubi dorati in cui compaiono strane creature e oggetti: che valore dai all’oro nel tuo lavoro?

L’oro è il materiale più luminoso, eterno, configura una dimensione divina, materiale simbolo di un potere spirituale non soggetto all’ossidazione, luogo di utopia, speranza e rinascita. L’uso dell’oro mi rimanda ai mosaici Bizantini, con figure eterne, immobili, fuori dal tempo che ci consuma.

Tornando a Calvino, ti senti una “baronessa rampante”? 

Il protagonista del Barone rampante rifugge le regole impostegli da una famiglia borghese ed instaurare un dialogo, rapporto unico e privilegiato con la Natura, inoltre porta alle estreme conseguenze la sua coerenza per una scelta fatta in un momento di dissenso totale verso l’autorità paterna! Sicuramente la Natura rappresenta anche per me la via d’uscita che ricercavo anche nell’infanzia quando non mi sentivo compresa dalla mia famiglia, e per rinforzare il mio dialogo con essa, sono stata fra le prime ad andare a dormire in una “casa sull’albero”!

Le tue opere si incentrano sul patto di armonia tra l’uomo e le altre specie viventi in termini di eguaglianza e di intraprendenza invece che di gerarchia o supremazia, ma l’arte può salvare il mondo da noi stessi?

La bellezza dell’arte sta proprio nel fatto di non “servire a niente”, noi umani, a differenza degli animali spendiamo tempo, ci sacrifichiamo per creare immagini, fisse o in movimento, scrivere storie, musica, cantare, il tutto per dare bellezza, gioia agli altri, qui sta il valore dell’umano che forse può salvarci.

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L’intreccio, il filo rosso o dorato, il ricamo utilizzato al posto del disegno nel tuo lavoro diventa uno strumento di operazioni collaborative tra diversi linguaggi, discipline e poetiche…

Certamente è basilare la collaborazione nel mio lavoro di diverse arti, linguaggi diversi che si intrecciano per rivelare la complessità del contemporaneo. In realtà io continuo a disegnare, non solo con la matita ma sperimentando altre possibilità. Mi diverto a scoprire cosa può disegnare un filo di ferro sul lino, come un materiale così grezzo, possa con le sue asperità configurare forme poetiche, mentre un filo rosso nel suo colore, mi riporta ai legami affettivi difficili da recidere.

Produci in libri d’artista su tessuto nell’epoca digitale: come li realizzi e quali obiettivi ti poni?

Il libro significa per me libertà totale di espressione, un’opera da sfogliare oltre che guardare, senza confini, senza tecniche in cui i pensieri scorrono fluidi. A ciascun libro do tema , nasce da un racconto da seguire nella mia trama immaginaria. Lavoro in maniera piuttosto caotica, incomincio a raccogliere materiali diversi inerenti all’argomento che voglio sviluppare, poi elimino, disegno sulle mie mappe, scrivo sulle foto guardando magari vecchi appunti di viaggio , sogni e considerazioni. I libri sono tutti piccoli miei autoritratti, mi descrivo come in un puzzle da comporre e scomporre a mio piacimento. Non ho un obiettivo specifico, piuttosto il desidero di condividere con chi apre miei “diari emotivi” le loro emozioni con me..

Lavori ascoltando musica e se si quale?

Posso lavorare solo ascoltando jazz: da Miles Davis a Coltrane, il nostro Fresu, mio cugino Cojaniz e Bill Evans, Chet Baker, Dexter Gordon, Ahmad Jamal, Caetano Veloso et cetera.

Casa tua è un’opera d’arte totale, un caso unico nel panorama milanese, dove vivi e lavori, un work in progress che cambia nel tempo: ma non ti stanchi mai di vivere in un opera d’arte?

Ma io non vivo in un’opera d’arte, vivo dentro me stessa, la mia casa sono io.

Quale artista del passato avresti voluto essere e perché?

Avrei voluto essere Marcel Duchamp, il mio opposto che ho sempre ammirato per la sua lucida ed ironica intelligenza, padre dell’arte contemporanea che l’ha portata a un livello solo mentale. Per lui la pittura non doveva essere solo retinica o visiva, ma doveva avere a che fare con la materia grigia della nostra complicità e per aprici a nuovi significati a favore di un’arte che continua a porci domande

Mi hai confidato che ti piace Leonor Fini…

Sì, è un’inventrice di mondi paralleli, amante del disegno e della fotografia, in lei mi riconosco per il fatto di essere un’outsider, dalla poetica immaginifica, inclassificabile, soprattutto libera da condizionamenti sociali , alla ricerca una originale visione del mondo rimescolando energie invisibili, mito, simboli e realtà, con figure stranianti. Come lei mi sono interessata all’esplorazione un universo femminile, e questo non sempre è stato apprezzato da una cultura maschilista.

Chi sono le pittrici o pittori viventi che ti emozionano?

Il mio mentore ideale è William Kentridge, una delle prime artiste donne che mi hanno influenzato molto è Louise Bourgeois, ho studiato molto anche Sophie Calle e il suo Hotel, l’incontro col lavoro di Berlinde De Bruyckere mi ha colpito come un pugno allo stomaco, Giuseppe Penone è stato ovviamente un esempio da seguire, Ai Weiwei mi impressionava molto, amo il lavoro di Ruth Asawa, di Eva Jospin e i lavori degli anni 90 di Kiefer.

L’ultimo libro che hai letto?

La fine del mondo e il paese delle meraviglie di Murakami Haruki che leggevo insieme a Pollock- il gesto e il respiro-Rothko di G.Botta.

Cosa pensi dell’Intelligenza Artificiale?

Io non penso molto dell’intelligenza artificiale, penso che Lei penserà presto per tutti noi. Nella medicina ho fiducia che darà una grande svolta e aiuto , nella creatività aiuta molti a creare mondi che, con le loro mani e menti sarebbero mai riusciti.

Quale progetto stai sviluppando?

Sto preparando una mostra performativa che si presenta con diversi linguaggi, un’opera totale dal titolo Eravamo Alberi, una serie di disegni su fondo nero che diventano video, sagome che si materializzano in presenze dorate, un reading con due personaggi e teli di due metri disegnati sul materiale impalpabile usato in agricoltura per “proteggere le verdure” negli orti. L’anteprima si svolgerà a Milano presso il Centro culturale La fabbrica dell’animazione ad aprile  durate la settimana di Art Week.