Giulia Nelli sul filo del tessuto: quando lo strappo si fa arte

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Giulia Nelli sul filo del tessuto, quando lo strappo si fa arte

Giulia Nelli, nata a Legnano nel 1992, laureata all’Accademia di Brera, ha conseguito il Master IDEA in Exhibition Design al Politecnico di Milano e da allora ha incentrato la sua ricerca sulla relazione tra uomo, ambiente e società sempre più “liquidi” nella cultura digitale. E’ unica per l’uso dei materiali tessili, in particolare il collant e per questo ha vinto numerosi premi. Esalta il ruolo del gesto, della manualità a contatto diretto con la materia. Nel 2024 l’installazione Tra radici sopite e arida pietra è entrata a far parte della Collezione Antropocene del MUSE – Museo delle Scienze di Trento.

Quando e perché hai optato per l’installazione?

Realizzo installazioni site-specific dal 2022 perché mi consentono di esprimere il messaggio con maggiore forza e immediatezza, grazie all’impatto della componente materica, al contrasto fra pieni e vuoti e al gioco di trasparenze e di ombre. Attraverso le installazioni cerco di entrare in comunicazione con il pubblico creando ambienti il più possibile immersivi, nei quali a ‘parlare’ è la materia con le sue forme che si sviluppano sinuose nello spazio. Le installazioni si propongono di essere luoghi esperienziali, che cercano di favorire il richiamo dalla memoria di ricordi personali e tentano di smuovere una riflessione interiore sui temi della vita e della società contemporanea. Il mio obiettivo è attingere il meno possibile a simboli concettuali, spesso non compresi dal pubblico, per lasciare che le persone si perdano nella materia, trovando un proprio percorso di lettura e tracce interessanti di riflessione. Del resto, il contatto con la grande quantità di materiale delle installazioni costituisce per me stessa, nella fase di realizzazione, una forma di esperienza e di apprendimento guidato dalle mani, che mi consente di estraniarmi dalla realtà per poi ritornarvi arricchita, capace di uno sguardo più attento alla meraviglia insita nelle piccole cose quotidiane della vita.

Come sei approdata ai materiali tessili sintetici e in particolare il filo di nylon e i tessuti nelle opere più recenti?

In un primo momento sono stata attratta dalla forma delle smagliature di alcuni collant usati, ormai da gettare via: ho notato che sovrapponendo i collant bucati a determinate superfici si creava uno straordinario gioco di vuoti e di pieni e un movimento di forme leggero e allo stesso tempo molto intenso. Successivamente ho cominciato a strappare il tessuto per ridurlo al suo elemento essenziale, il filo, e ho capito che il gesto dello strappo era per me in qualche modo liberatorio, mi consentiva di riflettere sul mio stato d’animo del momento e di concentrarmi sul messaggio che volevo esprimere. Ho imparato a calibrare la forza, a controllare la gestualità e a lavorare un materiale che, per quanto molto duttile, risulta anche molto delicato e imprevedibile se la smagliatura non viene gestita bene. Negli ultimi lavori sto utilizzando di meno il gesto dello strappo e dello smembramento e di più quello dell’assemblamento di pezzi diversi lasciati integri nella loro fisicità per dare maggiore matericità al lavoro.Al collant, mio materiale di elezione, affianco di volta in volta altri tessuti, come quelli in lino e in cotone o i filati di lana.

Radici senza nome

Hai “maestri” che continuano ad ispirarti, quali?

Sono diversi gli artisti che hanno influenzato il mio percorso artistico. Mi sono ispirata a Emilio Scanavino per lo studio del rapporto tra lo spazio interno ed esterno all’opera; in particolare trovo affascinante l’uso che Scanavino fa del riquadro, all’interno del quale le forme assumono un ritmo e un andamento in continuo mutamento.Ho subito il fascino delle opere di Alberto Burri per la sua esaltazione della materia come forma assoluta in se stessa e ne ho preso ispirazione per lo studio dell’assemblamento e della rottura della materia, che mi ha portato a realizzare un tessuto compatto, unitario e coerente dall’unione di collant differenti per forme, densità e grado di trasparenza.

Inoltre, amo molto l’arte orientale per l’essenzialità del gesto e per l’uso di trasparenze e ombre, nonché per l’importanza che il paesaggio ha in tale cultura artistica, finalizzata a cogliere nel respiro e nell’energia della natura la forza vitale dell’uomo stesso.

Vivi del tuo lavoro o cosa fai per sbarcare il lunario?

Alla mia attività artistica affianco attività didattiche sia in università sia in laboratori d’arte rivolti ai bambini.

Che importanza ha per te la ricerca storica, iconografica, letteraria, artistica e dei materiali per la realizzazione di un’opera o installazione site-specific?

Sicuramente la ricerca è alla base di ogni progetto e riguarda, da un lato, lo studio dei materiali con il loro valore simbolico, al fine di individuare metafore comprensibili anche al grande pubblico; dall’altro lato, l’analisi dei drammi del nostro tempo da un punto di vista sociologico, economico e anche iconografico.

Quali sono le attitudini per diventare artisti secondo te?

Penso che sia necessaria grande determinazione, costanza e fiducia, aspetti che nascono e si nutrono di un “grido” interiore che muove l’artista. È indispensabile studiare molto e avere la possibilità di coltivare il proprio dono.

In quanto giovane donna, hai avuto difficoltà ad inseriti nel circuito dell’arte?

No, sinceramente al momento non ho notato di avere avuto discriminazioni in quanto donna.

Tagli e cuci come una sarta, ma quanto hanno inciso le nuove tecnologie nella progettazione di una tua opera?

Guardo con attenzione e interesse le possibili sperimentazioni con le nuove tecnologie, ma al momento continuo a lavorare solo manualmente. Nel gesto, taglio che si fa opera, mi ritrovo.

Quali tue mostre ti hanno particolarmente soddisfatta?

Due mostre mi hanno particolarmente soddisfatta. Nel 2023 la mostra collettiva Come Pioggia, a cura di Stefano Cagol, al Castel Belasi di Campodenno (Trento): l’installazione è entrata a far parte della Collezione Antropocene del MUSE-Museo delle Scienze di Trento.

Nel 2024 la mostra collettiva all’interno della seconda edizione di Connexxion. Festival Diffuso di Arte Contemporanea, a cura di Livia Savorelli: la realizzazione dell’installazione nell’ex Carcere Sant’Agostino di Savona mi ha emozionato molto e mi ha spinto alla progettazione delle opere attualmente in mostra alla Galleria ARTRA di Milano.

Come è nata la mostra bipersonale con Filippo Moroni presentata nella storica Galleria ARTRA di Milano?

La mostra Fuori da dentro (visitabile ancora fino al 20 dicembre) in Galleria ARTRA è nata grazie all’invito del gallerista Matteo Masciulli che ha visto un dialogo interessante tra le mie opere e quelle di Filippo. Le nostre opere, molto diverse sia per consistenza e movimento dello spazio della materia sia per l’uso dei cromatismi, nascono da una passione comune per la sperimentazione e la modellazione di materiali innovativi.

Quali sono gli obiettivi poetici della tua ricerca artistica?

Mi piace pensare che le mie opere possano avere un risvolto poetico, che ricerco attraverso la realizzazione di atmosfere dal tempo rarefatto, spesso malinconiche. Nelle installazioni uso le ombre e la trasparenza velata per sfumare il reale e aprire al tempo della memoria e dell’analisi interiore, in uno spazio riparato come un ventre materno. Cerco di far percepire questo velo di poesia anche attraverso il titolo dato alle opere, che studio attentamente ispirandomi a versi di poeti più o meno conosciuti.

Cosa significa nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale essere artista, la manualità ha ancora un valore?

Penso che la manualità possa rimanere uno dei mezzi per fare arte, anche se cambierà ulteriormente il ruolo dell’artista, sempre meno autore-produttore e sempre più ideatore ed elaboratore di concetti. Spero che un’opera continui a essere valutata non solo per le sue qualità formali ed estetiche ma anche per il messaggio che invia in un determinato contesto sociale, storico e culturale e per il coraggio con il quale affronta i temi reali, osando sperimentare materiali, strumenti e gestualità. Forse il legame dell’artista con le sue radici storiche, spesso solo implicite, e con le emozioni personali provate continueranno a rendere il suo gesto unico e solo in parte imitabile.

Quale opera sogni di realizzare prima o poi e dove vorresti esporla?

Mi piacerebbe continuare a realizzare installazioni sempre più grandi e immersive, veri e propri ambienti spaziali, nei quali i visitatori possano entrare e immergersi completamente, ospitati in realtà istituzionali o museali italiane ed internazionali. Il mio sogno nel cassetto sarebbe poi quello di realizzare scenografie teatrali con le quali creare le giuste atmosfere a servizio di narrazioni contemporanee.