Nei primi anni del Seicento nessuno avrebbe scommesso che più di uno scaltro mercante olandese sarebbe stato disposto a scambiare la propria villa per dei bulbi di tulipano. Nel 1630 il tulipano era considerato un fiore prezioso e unico: introdotto nel Paese nella metà del Cinquecento dai viaggi in Turchia, si era ritagliato un posto nei salotti più pregiati del ceto medio, il quale lo elesse platealmente a status symbol. La percezione di esclusività aveva reso il fiore un vero e proprio bene d’investimento: l’altissima domanda aveva creato le condizioni per cui dei bulbi di tulipano arrivassero a costare quanto delle proprietà immobiliari. Venne a formarsi un vero e proprio mercato organizzato, il quale si prestò velocemente a fenomeni di speculazioni e distorsione, tutto finché non esplose la prima bolla finanziaria d’Europa documentata.
Pensando ai tulipani che possono trasformarsi ben presto in banane milionarie, verrebbe da dire che siamo sempre gli stessi. Si tratta di una notizia recente quella della battuta all’asta per la banana rigenerativa di Cattelan, venduta da Sotheby’s per ben 6,2 milioni di dollari. Una cifra assurda offerta dal giovane miliardario asiatico Justin Sun, imprenditore di successo nel mondo delle criptovalute. Sun, nato a Xining in Cina, è divenuto ormai un attento collezionista. Di opere come di cene, fa ancora discutere il pasto di beneficenza – sempre vinto all’asta – con Warren Buffet a cui il giovane imprenditore ha dato buca all’ultimo, salvo poi riprogrammarlo. Nella sua raccolta possiede già un Giacometti dal valore di 78 milioni di dollari, acquistato nel 2021 e pagato direttamente in criptovalute.
Sicché, cogliendo al balzo questo filo rosso offerto dalle criptovalute, vale la pena riconoscere che sono proprio loro il secondo terreno fertile su cui vale riflettere.
Dalla vittoria di Donald Trump, infatti, Bitcoin (e non solo) ha raggiunto cifre stellari. L’oro digitale, ideato dal misterioso fondatore Satoshi Nakamoto, ha toccato il valore di 99 mila dollari e, stando alle previsioni, è destinato a salire. Bitcoin, a differenza di altre cripto, ha la qualità di essere un bene finito: è stato sviluppato in modo tale da immettere sul mercato una quantità massima di 21 milioni di monete, numero che verrà raggiunto all’incirca nel 2140. Proprio per questa ragione, non può essere considerato al pari di una moneta qualsiasi. Anzi, è molto più probabile che diventerà un vero e proprio oro digitale, al quale altre criptovalute potranno legare il loro valore.
La presenza nel governo americano di Elon Musk è un altro motore per il mondo cripto. È stato proprio il fondatore di Tesla a far balzare il valore di Dogecoin, una delle prime altcoin nate per scherzo, il cui logo rimanda all’iconico meme divenuto virale sul web.
Era il 28 aprile 2021 quando Musk ha lasciato su Twitter un commento sull’altcoin, creando aspettative tra gli investitori e facendo decollare il prezzo di Dogecoin del 192%. Naturalmente, il rialzo è stato repentino quanto la sua discesa successiva, perché Dogecoin non ha un valore intrinseco, così come non ce l’ha Bitcoin né qualsiasi altra criptovaluta corrente.
Proprio questa instabilità spaventa i regolatori che, a fatica, cercano di trovare un quadro normativo adeguato a riconoscere un fenomeno la cui legge del mercato conta più di qualsiasi altra cosa.
Ma in realtà neppure la banana di Cattelan ha un valore intrinseco. Anzi, forse uno: quello dei 35 centesimi per acquistarla a una bancarella, spesa giornaliera per sostituirla assieme al nastro adesivo, secondo le specifiche direttive dell’artista-provocatore.
Per molti, l’epilogo sensazionale dell’opera è una vera e propria raffigurazione in tempo reale del film Idiocracy.
Risulta quasi faticoso, soprattutto se si ama un’idea di mondo impolverata, accettare che il mondo artistico sia così cambiato, sopraffatto dalla forza economica ancor prima che dalla qualità dell’arte così com’è. Basti pensare allo stesso hype che avevano generato gli NFT (Non-Fungible Token) soltanto un paio di anni fa e a come questi stessi strumenti sembrassero intenzionati a entrare a gamba tesa all’interno dello scenario artistico moderno, ove la ricerca disperata di unicità incontrava il bisogno di generare il senso di esclusività nell’epoca digitale.
La banana di Cattelan non è altro che la trasposizione delle criptovalute, nello specifico quelle meme, all’interno del mondo dell’arte. Vittorio Sgarbi ha commentato l’asta in questo modo: “È un percorso che toglie materia all’arte e la fa diventare puro pensiero. Una cosa mentale. Per questo un collezionista può acquistare a quella cifra una banana, che domani sarà un’altra, e poi un’altra ancora. La mangerà? Vuol dire che siamo arrivati alla banana mobile.”
LEGGI ANCHE: Come navigare nel mare dell’arte evitando gli “stronzi” d’artista
All’interno di questi fenomeni si configura quello che è il valore concettuale degli oggetti, merito probabilmente anche di una società sempre più virtualizzata, in cui la stessa esaltazione dell’Intelligenza Artificiale ci pone in strati di pensiero sempre più metafisici, abituandoci a riconoscere valore in ciò che non è possibile toccare e ci risulta intangibile.
Dagli stessi social network e dai fenomeni virtuali in cui siamo sempre più addentrati, sarebbe il caso di riconoscere un paradigma di pensiero completamente nuovo. Quasi la stessa esperienza umana rischia di divenire niente più che una virtualizzazione della sua essenza, ove un profilo social è una caratteristica di definizione del valore individuale.
Pensiamo ai crescenti profili di persone inesistenti, le cui immagini sono frutto dell’intelligenza artificiale di MidJourney et simila. Hanno numeri sempre più consistenti di seguaci che, nel frattempo, attribuiscono valore a quel fenomeno, riconoscendogli un’esistenza.
Il discorso risulta pericolosamente più sottile e difficile di quel che sembra, perché non si tratta semplicemente di analizzare uno straordinario acquisto di una banana da 35 centesimi, tramutati in 6 milioni di dollari, ma di riconoscere che siamo di fronte a una rivoluzione completa del concetto stesso di esistenza.
Eppure, non sono temi nuovi nel panorama. Sarebbe il caso di scomodare Marcel Duchamp, Andy Warhol e Pietro Manzoni, i quali solo un secolo fa avevano già intercettato provocazioni affusolate alla base della società dei consumi.
Pensiamo ai numeri giornalieri del Louvre e traduciamoli ai turisti che soggiornano dinanzi la Gioconda per ritrarla in una sfocata, quanto scontata e triste, fotografia. Non è forse da decenni che la stessa meravigliosa opera di Leonardo è soggetta ad un entusiasmo ignorante senza fine? Quanti davvero guardano la Gioconda per riconoscere il talento dell’artista e quanti lo fanno specialmente per rispondere al bisogno spasmodico di adeguare la propria visione a quella di massa? Nel caso di specie c’è fortuna, perché in effetti si parla di un vero e proprio capolavoro artistico, ma in effetti nulla è più funzionale di una narrazione misteriosa alle spalle, perché alla fine l’uomo nient’altro è che incivilito da se stesso e per questo motivo vittima delle sue stesse suggestioni.
Sun ha acquistato un’opera viva, nel senso che la banana dovrà essere materialmente sostituita secondo specifici dettami, quasi fossero uno stesso rito artistico di base. L’opera a conti fatti non esiste, nient’altro è che un artificio frutto della stessa suggestione pubblica dietro all’assurdità che una banana appiccicata anziché essere ignorata abbia fruttato milioni.
Sicché è necessario a questo punto che è stato inaugurato un vero e proprio paradigma sociale con le regole più vecchie del mondo, quelle di mercato.
La sostanziale differenza stavolta risiede nell’idea che ciascuno di noi ha dell’esistenza, perché basiamo la nostra vita sempre più su stanze che in realtà non esistono, strumenti senza materia, finendo per attribuire valore a ciò che tutti vogliono ma che nessuno può avere, perché semplicemente non esiste, non è niente più che un concetto, non è neppure un tulipano rosso.