Torna a rivivere sulle tavole del palcoscenico Le cinque rose di Jennifer, nella messa in scena diretta da Agostino Marfella, protagonisti: Leandro Amato e Fabio Pasquini. Sul palco del Teatro Lo Spazio di Roma, dal 7 al 16 aprile. L’opera cult dell’indimenticato Annibale Ruccello, tra i maggiori drammaturghi della cosiddetta “area napoletana” della secondo metà del XX secolo.
I suoi drammi (“Ferdinando”; “Notturno di donna con ospiti”, “Weekend”) come del resto quelli dei nuovi drammaturghi napoletani, rimandano a Genet, Beckett, ossia al teatro della malattia e del malessere, ma è sicuramente il teatro di Viviani a influenzarlo nettamente. Nel 36° anniversario della sua scomparsa, la Compagnia Teatro Il Quadro affronta la pièce che segnò il debutto alla drammaturgia di Ruccello. Nel 1980, insieme a “Notturno di donna con ospiti” e “Weekend” costituì la trilogia che Ruccello chiamò “teatro da camera”.
Ambientata in un quartiere degradato della periferia di Napoli, Le cinque rose di Jennifer è una cruda istantanea del mondo dei travestiti. Le storie di vita di Jennifer e Anna sono metafora, senza edulcorazioni, della profonda solitudine umana. Atmosfere che riecheggiano il thriller psicologico, tensione che lascia gli spettatori con il fiato sospeso fino all’ultimo istante. I due protagonisti, povere anime perdute sono alla ricerca disperata di una propria dimensione. Jennifer e Anna sono pronti a riappropriarsi del pudore e della dignità violati e derubati dai finti valori “borghesi”. Disposti a tutto pur di elemosinare un briciolo di affetto, fosse anche solo qualche parola attraverso il filo di un telefono. Si celebra così, un delirante rituale scandito dall’attesa ossessiva dell’amore.
Il palcoscenico è lo specchio dei pensieri compulsivi di Jennifer. E’ qui che si materializzano le sue ossessioni e la sua maschera recita ossessivamente l’ultimo lamento d’amore per Franco: “chimera” di una vita felice e irraggiungibile. Intrisa di degrado e frustrazione, l’opera di Ruccello rivela una straziante poetica in cui il “tragico” si fa “grottesco”. Un delirio lucido in cui la solitudine si trasforma nel degrado dei miti e dei modelli. Deflagrazione dei linguaggi della comunicazione che sfocia in una lacerante ed intensa interpretazione, nel vano tentativo di ritrovare il “Sé”.
“Le cinque rose di Jennifer, opera cult di Annibale Ruccello (1980), con il tempo e i numerosi riadattamenti ha acquisito uno spessore stilistico tale da renderla un piccolo classico del teatro contemporaneo – così scrive nelle sue note di regia Agostino Marfella – Nel mettere in scena lo spettacolo ho sottolineato la ritualità del testo con atmosfere antinaturalistiche. Chiari rimandi a Genet, alla tradizione nordica dei Kammerspiel come a Strindberg e Ibsen”.