Di simbolo in simbolo nel Battistero della Cattedrale di Padova

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Non bastano i sigilli di qualità mondani, neppure il riconoscimento Unesco di “patrimonio dell’umanità”, a dire quanto è prezioso il Battistero della Cattedrale di Padova, che un’apertura straordinaria, concertata tra diocesi, comune e ministero dei beni culturali, ha inteso far conoscere al grande pubblico. Il sospiro che strappano gli affreschi trecenteschi di Giusto de’ Menabuoi è quello del re barbaro Clodoveo, che, avviandosi verso la vasca da cui sarebbe rinato cristiano, tra l’incenso, gli ori, i canti gregoriani, si accostò all’orecchio del vescovo e gli disse: “È questo il paradiso di cui mi avevate parlato?”

Il nuovo restauro e un’illuminazione studiata per l’occasione permettono alle terre di Giusto – i gialli, i lilla, i rosacei, gli ori, gli aranciati – e al suo cielo di fiamma di esprimere la massima potenza estetica, simbolica, teologica. L’artista sta parlando della creazione e del mistero della Trinità. Le scene di vita quotidiana sono la terra in cui irrompe il Verbo, incarnato e incarnante, quell’azzurro trapassato da una luce bianca che lo solleva. Così dovrebbe essere l’annuncio cristiano per San Paolo: pieno di “eilikrìneia”, trasparente e forte come i raggi del sole.

Terra. La pianta quadrata dell’edificio. Il disegno della prima cornice, che abbraccia l’anello della centralissima vasca battesimale, cuore che pulsa così forte da far vibrare al pittore la tavolozza. I colori impastati con le polveri tipicamente toscane. La piana compostezza delle figure, pur colte nel dinamismo di una quotidianità non dissimulata, quasi alla Giotto.

Cielo. Nelle vesti del Cristo e di sua Madre, predestinata fin dalla prima fanciullezza a essere immagine della Chiesa. Nella forma a volta del soffitto, che il pittore impone ai committenti.

Le molte storie dell’esistenza terrena di Gesù coprono i quattro lati del quadrato, riempiendo tutto il nostro orizzonte: oriente, occidente, settentrione, meridione. A dire che il peso della terra era in qualche modo intimo alla Trinità e in essa è inscritto già ogni nostro nome. Il quadrato abbraccia il cerchio, sostiene un cielo che si curva pieno di perfetta pietà, dove Giusto dipinge un Pantocratore immenso e una vertigine di aureole, il cui ordine è impeccabile e insieme senza peso. La pace delle cose ultime, fondamento di tutti i frammenti di universo. L’impressione è di saldezza, anche se i nostri occhi sono rovesciati e la testa un po’ gira. Eppure, se si cade, non è lo sparire nella morte, ma il risorgere appesi a una fiamma celeste. Il ciclo degli affreschi vuole aiutarci a capire proprio cosa significa quel capogiro.

Don Gianandrea Di Donna, che, da responsabile dell’Ufficio diocesano per la Liturgia, ha seguito passo a passo il restauro, spiega: “l’edificazione architettonica glorifica la vasca battesimale e ne dice il senso: coloro che vi entrano, sepolti con Cristo, ne escono nuove creature, appartenenti alla nuova creazione”.

Si va di simbolo in simbolo. Il fedele, salvato nel battesimo, muove poi verso il chiarore dell’oriente, l’èschaton rappresentato dalle scene dell’apocalisse, sotto la piccola volta in cui Giusto dipinge la Pentecoste.

“È chiara, qui, l’inscindibilità dei sacramenti dell’iniziazione cristiana” osserva ancora don Di Donna. “Usciti dalle acque del battesimo, il cielo si apre, il Padre, nell’effusione dello Spirito realizzata sacramentalmente, chiama il battezzato per nome e gli dice: ‘Tu sei mio figlio, l’amato’. Chi entra nella morte e ne esce vittorioso con Cristo, uomo nuovo, diventa oggetto dell’amore che il Padre ha rivolto al Figlio. La cresima è ciò che ci fa figli: non il sacramento della maturità cristiana, ma quello della dolcezza divina.”

L’altare sormontato da uno splendido polittico, riportato nella sede che aveva in origine, permette a don Di Donna di seguire Giusto fino al culmine della sua simbolica arditissima eppure perfettamente logica:

“A questo punto, il cristiano, unto con lo Spirito e cioè reso un altro Cristo, manterrà la tensione escatologica del suo essere conforme al Figlio nutrendosi continuamente dell’eucaristia, l’assiduo riagganciarci alla realtà ultima. Ecco che allora chi è battezzato e crismato andrà sempre nutrito di questo compimento.”

E qui le porte del Battistero si riaprono sull’orizzonte dell’agire e sulla misteriosa lontananza del mondo.