“Come imparai ad essere un estremista”: cinema e politica in Valerio Caprara

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Valerio Caprara è uno dei più importanti critici cinematografici del nostro paese, noto ormai anche ai più giovani per le sue attente ed efficaci analisi sui film nel programma condotto da Gigi Marzullo “Cinematografo”, di cui è ospite fisso dal 2007. Ha scritto sulle principali riviste specializzate nazionali, da “Bianco e nero” a “La Rivista del Cinematografo”, è stato autore di testi e conduttore in voce e in video di svariati programmi Rai. La sua è una voce alta, fuori dal coro dei critici pop e di quelli dal compito apparentemente ricercato per pura vanità intellettuale, una voce che richiama il buon vecchio cinema, con la rosea memoria volta al passato ed uno sguardo capace di trafiggere il presente, verso un cinema anarchico americano, quello che siede sul remoto podio di Sam Peckinpah.

Da piccolo, eri solito analizzare un film punto per punto dopo la visione?

No, assolutamente no. Sono un cinefilo nature, spontaneo, cercavo come tanti bambini di replicare le sequenze che più mi avevano colpito. Cercavo di mimare le azioni, le inquadrature, le battute che mi erano rimaste in mente. La cosa che più amavo di un film erano le situazioni epiche e i momenti drammaticamente forti, quindi sono un adepto del cinema shock, del cinema emozione/spettacolo e quindi anti-intellettualistico o se vogliamo, addirittura “popolare”.

Quindi provieni da una formazione non proprio legata ai Cahiers du Cinéma?

Guarda, io ho cominciato ad essere un culture di cinema nella maniera tipica del novecento, quindi attraverso un’infatuazione che nasceva nelle sale delle città e nella visione complessiva, nella costruzione di un mondo che era immaginario. Ovviamente oltre ai film amavo anche leggere determinati libri, perché all’epoca noi ragazzi leggevamo abbastanza, e quindi questo sistema integrato tra pellicole, libri ed esperienze della vita reale costruirono l’immaginario collettivo di quella che fu la mia generazione, quella che esplose negli anni sessanta nei diversi contesti, ovviamente anche quello politico, tra prima e dopo il fatidico ’68.

Come si stronca un film?

(ride) Allora, prima di tutto stroncare non deve essere una soddisfazione né un fine. Lo è stato in alcuni periodi. Io, prima da appassionato di cinema e poi figlio di una certa cultura ben squadrata e dall’aspetto nazional-popolare dei partiti di sinistra, ho imparato ad avere un approccio politicizzato. Nel ’68, paradossalmente, la politicizzazione è stata così estrema da ribaltare il vecchio tipo di atteggiamento e quindi si è affrancata la possibilità di poter dire: “quello fa schifo, quella è una porcheria e non importa se sia un film progressista o se il regista è un bravo compagno che sfila nei cortei o se è un film proveniente dal demonio hollywoodiano.” Quindi in quel mondo ho imparato ad essere un’estremista e ad avere gli stessi atteggiamenti che aveva anche il più mite dei nostri grandi eroi che era Francois Truffaut, il quale era una persona squisita ma che nella fase di critico era uno che, affiancato dai compagni, incitava alla rivolta contro i film che erano il fiore all’occhiello dei cineclub di allora. Abbiamo imparato a bastonare, stroncavamo un sacco di film con una grande crudeltà, sotto la guida di Goffredo Fofi, uno dei più tosti e irriverenti. Poi col tempo ho capito che anche se è giusto essere il più espliciti possibile, non bisogna godere della stroncatura. Io vado al cinema sempre con la speranza di divertirmi e se il film che vedo non mi piace, non ne faccio una battaglia, anzi me ne disinteresso. In fin dei conti mi dispiaccio più quando un film che ho amato molto viene snobbato o facilmente dimenticato, rispetto a quando un film che a me ha fatto schifo viene elogiato, premiato, e allora lì dico una frase che ripeto spesso negli articoli: ”S’accomodi chi gradisce!

E com’è finita col vecchio mondo a cui appartenevi?

Guarda, io mi sono trovato in mezzo alla critica che faceva riferimento ad una sinistra extraparlamentare, una scuola che era contro la sinistra ufficiale dell’euro-comunismo del P.C. e della via italiana al socialismo, era uno scontro estremamente violento di cui molti sono rimasti a sinistra, altri hanno continuato sulla loro via da estremisti e altri, come diranno di me, sono usciti a destra.