Spesso chi non ci ha a che fare direttamente si fa un’idea a senso unico del mondo del giornalismo: chi li vede come servi del potere, chi come guardiani della verità, e chi come uomini che fanno un lavoro emozionante. In realtà il giornalismo è tutte queste cose e molto altro, un macrocosmo dove si può trovare gente di ogni tipo. Un elemento che emerge con forza nel romanzo Forse non morirò di giovedì (Golem Edizioni, 2021, 192 pagine, 15 euro), scritto dal giornalista Remo Bassini.
Il protagonista, Antonio Sovesci, è il direttore di un piccolo quotidiano di provincia, che sin da prima del divorzio era di fatto la sua vera famiglia. Proprio perché ha considerato la redazione del giornale la sua famiglia, rimane spiazzato il giorno in cui scopre che molti dei suoi giornalisti tramano contro di lui assieme all’editore, che vorrebbe toglierlo di mezzo per il suo spirito indipendente e sostituirlo con una figura più sottomessa. Antonio si troverà costretto ad affrontare una dura battaglia, che lo porterà a fare un bilancio della propria vita e di ciò che ha dovuto sacrificare per fare ciò in cui crede.
Più si va avanti nel romanzo, e più appare chiaro come l’autore o persone a lui vicine devono aver vissuto in prima persona fatti analoghi: Bassini, oltre ad essere autore di romanzi e racconti, in oltre trent’anni è stato direttore di due testate locali di Vercelli, oltre a collaborare con quotidiani nazionali. Infatti, al termine di ogni capitolo compare un estratto di un’intervista che Sovesci rilascia a Caterina, una sua ex-collaboratrice con la quale è stato sul punto di avere una relazione, intervista che nel libro appare scritta con un carattere diverso, come se fosse stata battuta su una vecchia macchina da scrivere. Sovesci è infatti fortemente ostile al giornalismo online, nostalgico di un mondo che sembra destinato a morire.