“Macchè amorale, sono contro il politically correct”

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Apocalittico e visionario. Spregiudicato, viscerale e accattivante. È il nuovo libro di Vincenzo Profeta: “La Palermo Male”(GOG EDIZIONI). Un’opera che mischia allucinazione e flusso di coscienza, uno stile definito dal suo autore: “sangue sul word e con una faccina che ride sardonica” e una fitta rete di ipertesti grafici. Con uno stile tra sonorità trap e un sincretismo culturale che lo rendono un proibito e lucidissimo viaggio in una apocalisse sospesa tra parodia e orrore. L’orrore di un mondo sfruttato e disincantato. Che fonde richiami all’esoterismo, un linguaggio vivo e sconvolgente capace di turbare e stregare il lettore, in un ciclone scioccante di spunti, di visione. Shock reso ancora più interessante da un formato grafico che rende il libro come un grande tentativo di hacking letterario. Attraverso una rete di ipertesti che coniugano i tubi di Mario Bros all’Apocalisse di Giovanni, space invaders ed un gusto deformativo sperimentale. Profeta, palermitano fondatore del Laboratorio Saccardi, sceglie un modo diverso di raccontare la sua Palermo. Infestata, laicamente blasfema, unica,imperdonabile e per questo necessaria al lettore stanco delle frequenti noie letterarie.

Vincenzo Profeta cosa rende “Male” la Palermo del suo ultimo libro?

Il male è il nostro tempo, cioè è insito in tutto quello che viviamo. Nel conformismo, nei luoghi comuni della vita, quando perdi l’identità, la tua anima, questo è male, e Palermo l’ha persa, perché prima nonostante la mafia, era Palermo, una città bellissima, maledetta ed insondabile e viva questo, con storie ed identità sue. Ora si è venduta, capita agli uomini, alle cose ed alle città, alle prostitute virtuali. Si diventa oggetti di qualcosa, si è agiti da qualcuno, da una mente superiore, da un processo economico più grande, da un disegno superiore diciamo….

Volendo classificare la sua opera in un genere, a quale apparterrebbe?

Non credo nei generi, è una roba che non mi interessa, potrebbe essere un romanzo del terrore sociale se proprio vuoi una definizione, apparentemente lo è. Io la chiamo letteratura profetica, contiene una profezia sull’anticristo nell’ultimo capitolo, sveliamo il 666 famoso…

L’opera può essere inclusa nella letteratura ergodica?

E’ una intuizione giusta la tua bravo. si parlare di letteratura ergodica è esatto. Il mio libro si ispira alla Bibbia, più precisamente all’Apocalisse di Giovanni, è un ipertesto, l’Apocalisse si può leggere ed interpretare come un ipertesto, o con la kabala, il giochino è questo. Il mio linguaggio è un flusso di coscienza preso da una neolingua mia, ispirata a quella dei media e dal parlato. Alcuni lo hanno paragonato al Rap, ed è curioso come in questi tempi- che io chiamo della fine- la parola, il verbo, sia tornato così protagonista, anche nella musica, da diventare esso stesso musica.

Il formato e le innovazioni grafiche sono molto particolari. Come è nata l’idea di questo particolare layout e cosa vuole rappresentare?

Volevo giocare, a mandare una sorta di messaggi subliminali, come si avvertivano alcune sette cristiane, come un gruppo di ribelli della fede, ma anche laici, allora abbiamo giocato su questo, voglio che chi legge il mio libro si risvegli.

Il libro è una lotta permanente con tutte le ideologie, con i moralismi multicolor, col politically correct. Può essere definito un libro amorale e che cosa ne pensa del moralismo applicato alla letteratura?

No il mio libro non è amorale. È contro il politically correct perché è una dittatura del pensiero. Mi fa schifo questo moralismo, è quando è affine ad un ideologia o ad un partito, o ad una presunta èlite intellettuale, che vuole darci consigli sul vivere, quello è veramente odioso, ma è importate come si scrive in genere, non solo cosa scrivi a cosa vuoi insegnare, poi puoi pure essere moralista, insomma puoi fare tutto, ma se devi essere il servo di mille padroni, beh quello lo trovo esteticamente orrendo. L’intellettuale deve difendere il disgraziato no indottrinarlo e basta, non tanto per morale, ma perché il disgraziato, è la fantasia, l’arte, è un patrimonio estetico ed umano unico, essere un disgraziato è una redenzione, in un mondo di finti fighi.

Trova lo stile della Palermo male vicino a quello di Celine o Dante Virgili?

Sono due autori che stimo, Celine però mi annoia, ha uno stile troppo classico a volte, mentre adoro Dante Vigli, trovo che sia stato un genio, mi ha ispirato molto, purtroppo a parte un recupero radical chic e savianesco di pochi anni fa, i suoi scritti ruggenti a mio avviso sono stati un pò censurati. Principalmente mi sono ispirato alle mie letture e a molta fantasiosa cronaca nera.

Nel libro parla di una lingua diversa dall’italiano. Da quale esigenza espressiva nasce.

Volevo colpire allo stomaco il lettore, dargli emozioni, ansia ed adrenalina, volevo trascinarlo nel foglio, voglio farlo mettere a scrivere con me, ecco quale era l’esigenza.