Toni D’Angelo e il suo Calibro 9

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fonte taxidrivers.it

Il “cinema di genere” è quel gran calderone conosciuto oltreoceano con il nome ancora più comprensivo di “exploitation”, un insieme in cui coesistono b-movies e classici come la trilogia del dollaro di Leone.

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Un filone classico di questa corrente è il poliziottesco, la risposta italiana al poliziesco anglosassone anni Settanta che per trent’anni sembrava essere finito nel dimenticatoio sommerso da critiche non certo lusinghiere.

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Dopo anni di nulla, complice lo sdoganamento di alcune pellicole ai tempi snobbate, nel 2017 esce “Falchi” di Toni D’Angelo che attualizza il genere con un taglio personalissimo e sembra poter riportare i “filmacci” in sala. In questi giorni è uscito “Calibro 9” su CHILI e Sky, ultima fatica del regista e ambizioso sequel del classico di genere “Milano Calibro 9” di Ferdinando Di Leo. La passione per il film di genere, i suoi inizi, il suo ultimo lavoro, Toni D’Angelo in questa intervista ripercorre le tappe della sua formazione e i motivi che hanno portato un cineasta, nato nel ’79, a scommettere su un genere considerato di nicchia

Quali sono stati i tuoi primissimi approcci verso questo tipo di cinema?

All’università studiavo cinema con il sogno di fare il critico cinematografico. Contemporaneamente mi avvicino al cinema di genere e inizio a vedere poliziotteschi, così come gli spaghetti western, filoni che in qualche modo si uniscono, e mi accorgo che amare quel genere di film divertirsi con quel genere, ma soprattutto prenderlo sul serio era considerato un qualcosa di eversivo. […] Non l’ho mai accettato e quindi sono passato dall’altra parte, da chi scriveva di cinema a chi lo faceva.

Qual è per te la forza di questo genere?

Il genere ti permette di parlare di politica senza parlare di politica. Magari il film è impegnatissimo senza che ci hai pensato. All’interno di tutte le storie c’è politica, temi sociali. Le storie esistono perché all’interno esistono personaggi che hanno obiettivi che da raggiungere e tutti hanno delle conseguenze. Alla fine la narrazione è sempre la stessa.

All’epoca questi film venivano distrutti dalla critica, come siamo passati dal considerarli b-movies a cult?

L’ideologia ha i suoi limiti. Alberto Grifi disse che “l’ideologia è la peggiore delle sceneggiature”, e detto da un ideologo comunista che ha fatto le barricate spiega il limite di una certa critica cinematografica, che ora grazie a Tarantino ha riscoperto i famosi filmacci italiani […]ricordo benissimo la prima volta che vidi sul grande schermo “Milano Calibro 9”: fu al Festival di Venezia, era appena morto Fernando Di Leo e MarcoMüller organizzò una retrospettiva su di lui presentata da Barbara Bouchet e Quentin Tarantino. Per quest’ultimo si trattava del più grande noir che avesse mai visto, “il vero cinema che tutti dovrebbero fare” diceva e improvvisamente nei dizionari di cinema le stelline passarono da 1 a 4. In realtà c’era uno snobismo pauroso che io onestamente non ho mai capito. Quindi il genere poliziottesco ho iniziato ad amarlo anche un po’ per questo motivo qui, mi sono posto la domanda: “perché devo fare parte di questi con la puzza sotto al naso se trovo che riuscire a fare un film di questo tipo, poliziottesco, a due lire, i western, l’horror di Lenzi, film geniali che ci copiano e stracopiano sia da rispettare?”

Come si può riproporre il poliziottesco nel 2021?

Semplicemente togliendolo dal contenitore poliziottesco ma dandogli la casella di Cinema. Così come Corman, che faceva film di serie B poi incensato dalla critica, o per dire Cronenberg: lui non fa altro che grandi esempi di b movies, ma mettendoci dentro i concetti politici, la filosofia etc… è stato accettato come Cinema. Quindi se tutto questo viene tolto dalle caselle, dalle nicchie, allora anche il poliziottesco non è più il “poliziottesco anni Settanta” ma un genere cosi come i polizieschi americani o il Polar francese.

Nel 2017 fai uscire “Falchi”, cosa ha favorito il ritorno del genere al cinema?

Più che una questione di “ritorno” si tratta di uno sblocco – anche magari grazie alla televisione, grazie a serie tv e film tv, con le nuove piattaforme viene finalmente concepita l’idea di fare un cinema diverso e, uscendo in tv, il pubblico e più vasto e quindi questo genere viene accettato da più gente. È cambiato il concetto industriale del cinema, questi film qui sono una figata è inutile dire il contrario, e il pubblico va diviso in due categorie: quello intellettuale che deve per forza trovare spiegazioni nella narrazione e quello che arriva stanco la sera e vede un film per divertirsi, non ridere attenzione, ma in senso generale, affezionarsi alla storia e ai personaggi. (Se ci sono ostacoli nel riproporre questo cinema, n.d.r.) Sì, parecchio. I primi giorni dall’uscita di “Falchi”ci furono stroncature cattivissime, poi improvvisamente Mereghetti gli dedica due paginoni su Ciak, e da allora non ce n’è stata una. L’ostacolo lo trovi ma poi lo superi immediatamente.

Passiamo al tuo ultimo lavoro, “Calibro 9”, innanzitutto come nasce l’idea di riprendere il cult di Di Leo?

Nasce dal mio produttore Gianluca Curti, figlio di Ermanno produttore di “Milano Calibro 9”. Con la Minerva, per decenni ha avuto l’idea di riprendere questo film cult con cui ha un legame molto forte, avendo accompagnato il padre sul set di Di Leo. È una sorta di rivalsa verso il cinema che ha sempre amato e sostenuto che però veniva stroncato dalla critica: facevi il poliziottesco e ti dicevano che eri incapace, che eri un fascista. Il suo sogno era quello di fare un remake e me lo ha proposto, io ci ho pensato e piuttosto che un remake ho scelto di partire da quel film per raccontare il mondo di oggi. Cosa c’è di simile a quella storia? I criminali che si truffano tra di loro, se nell’originale è Milano con la valigetta dei soldi ora si parla di digitalizzazione. Raccontiamo un’evoluzione delle modalità di essere criminali la criminalità, non è più locale: ‘ndrangheta in Calabria, Camorra a Napoli e Mafia in Sicilia, non c’è più una circoscrizione locale ma è tutto globale. La ‘ndrangheta decide di uccidere un uomo e può farlo in ogni parte del mondo, la storia diventa così una caccia all’uomo con i nuovi mezzi della malavita.