4 mosche di velluto grigio, anzi un libro di velluto verde

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Ecco una monografia d’arte che riflette fedelmente l’essenza dell’artista: sembra un enigma, con quei caratteri in oro sulla copertina di velluto verde che non dicono nulla oltre quello che si vede e si sente al tatto.

Proprio come le opere del proprietario assente di questo libro, Francesco Gennari, l’artista di cui è in corso la personale alla GAMeC di Bergamo dal titolo Sta arrivando il temporale (dal 26.10.19 al 6.1.20), di cui il vellutato libro è molto più del solito catalogo.

L’ha pubblicato Skira (191 pagine, 40 euro, riccamente illustrato con foto a colori anche a doppia pagina, con testi in italiano e inglese di Lorenzo Giusti curatore della mostra, Mouna Mekouar e Petter Snare), la brossura è tutta di velluto verde, se ci passi sopra il dito cambia colore come quando da bambino facevi la prova con le superfici di velluto, i caratteri sono in oro impressi a fuoco sul piatto e sul dorso e indicano una costellazione: leggi Francesco, poi Gennari ed intorno s’illuminano le parole Drawings, Visual Essay, Self Portraits, incastonate come gemme/astri su un firmamento verde….menta.

Il richiamo alla menta non è casuale, perché questo liquido verde fa parte integrante dell’arredo costitutivo della produzione d’arte di Gennari insieme ad altre sostanze come gin e scorza d’arancia, ma anche elementi inorganici e d’uso comune, vetro, marmo bronzo nonché materiali industriali e altri elementi organici come farfalle, vermi e ragni.

L’arte di Gennari è stata definita minimalista/metafisica, ma il Minimalismo forse sta solo nell’assenza di elementi decorativi, mentre la Metafisica invece ci sta tutta, con De Chirico e aggiungeteci pure un po’ di GDD – Gino De Dominicis per i non uTenti.

Nell’arte di Gennari l’oggetto non è filosofico, non è la cosalità, non è la “bottiglità” di Giorgio Morandi e nemmeno la stupefacente vita silente degli oggetti di un altro grande vivente contemporaneo italiano, Sergio Benvenuto: gli oggetti, nella semantica estetica di Gennari, NON sono l’altro da sé ma anzi concorrono a definire l’io e i suoi molti sé, perché l’arte di Gennari è autocentrata, è un’eterna ghirlanda di indagini sul sé.

Attenzione: non il sé in generale, ma proprio il suo sé. Lui, con i suoi molti sé (i molti sé che abbiamo tutti noi) è il filo verde che corre come un basso continuo lungo tutte le opere, come la Volontà di Schopenhauer nel mondo là fuori.

Chiaramente, la riflessione di Gennari non è un selfie: anche Baudelaire intitolò un suo libro Riflessioni sui miei contemporanei, eppure non era un selfie, non era un autoritratto, tant’è vero che molti altri-da-lui l’han letto con profitto. Se io, che non sono né artista né scrittore, disegnassi un tribale, ebbene questo tribale sarebbe interessante solo per me: mai e poi mai avrebbe quel certo non so che da renderlo degno di esser visto anche da altri.

Tutte le opere di Gennari sono “autoritratti”, anche quelli dove lui non c’è, anche quelli in cui lui c’è ma in senso emotivo, come un quasi-ricordo, con quella che Nietzsche chiamava “stimmung”, atmosfera in senso morale e che ritroviamo in maniera massiva nei quadri di De Chirico.

Gli “autoritratti” si annunciano sul piatto anteriore di questo libro di velluto, insieme ai disegni e a quelli che si presentano come saggi visuali, mentre il libro piace considerarlo, con post futuristico estro creativo, la pregiatissima documentazione verbo-tattile di una mostra, con i saggi dedicati al tema dell’autorappresentazione e al disegno: IO SONO FRANCESCO GENNARI di Lorenzo Giusti, QUANDO IO NON SONO IO (WHEN I AM NOT I) di Mouna Mekouar, YOU TRAVEL ALL ALONE? HUSH NOW, DON’T EXPLAIN di Petter Snare.

Da leggere da guardare e…toccare.