Il pop in una stanza: “Women in pop” in Galleria

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Women in Pop di Tomoko Nagao ,210 Art Gallery Vik Milano, veduta della mostra

Questo è il tempo di rivisitazione del passato: su diverse direttrici e con stili differenti pare una tendenza che approda in senso squisitamente pop alla Galleria Vik Milano. Con la mostra Tomoko Nagao WOMEN IN POP curata da Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci, riprende la stagione con una sede specifica nella “stanza” 210 del luxury hotel in Galleria Vittorio Emanuele.

La location si è fatta notare nel settembre 2019 quando ha inaugurato l’operazione artistica diffusa in diverse aree, dal ristorante con più di cinquanta opere disseminate lungo l’intero piano alle camere allestite con l’opera di un singolo artista, attraverso una selezione di numerosi protagonisti della della scena artistica italiana e internazionale.

Doveva configurarsi come un vero e proprio museo privato con mostre temporanee in un hotel esclusivo, nel salotto della città. A quel punto però l’emergenza del lockdown ha imposto un ritardo nella sua attuazione.

Con la mostra di Tomoko Nagao possono considerarsi aperti i battenti dell’attività espositiva temporanea di Vik, nel suo dialogo con le opere del ristorante e della camera dedicata. Lo scrigno dell’architettura eclettica della Galleria, secondo il meccanismo di una scatola cinese, custodisce quindi il contenitore d’arte nelle aree aperte al pubblico, il piano del ristorante e la galleria vera e propria, fino alla rivelazione esclusiva di un suo interno privato, aperto solo idealmente alla città nel segno di una ricerca artistica.

La prima mostra nella room 210 profuma di marshmallow. Si tratta di un percorso nell’ultima produzione di Tomoko Nagao, artista di origine giapponese adottata da Milano molti anni fa. Il suo stile new pop può volere l’aggettivo nipponico, se si pensa a quanto ogni soggetto abbia uno stretto legame con la cultura Kawaii. Dunque ogni cosa è illuminata dalla grazia di figure archetipiche, le Women in Pop, che della femminilità infantile e impassibile di Hello Kitty ne fanno un feticcio, quasi un logo necessario nella ripetizione delle sue forme, che denuncia sì l’invasività di marchi di aziende e multinazionali nella nostra vita, ma lo fa senza la violenza di un messaggio politico. E’ una critica sociale leggera, quasi ironica. Squisitamente all’interno di una cornice di ricerca pop nell’accezione originaria di “popular”. La celebrità del personaggio di Hello Kitty, di cui l’artista condivide persino la data di nascita, la rende una presenza familiare, una femminilità non dirompente che parla a tutti con un linguaggio semplice, invadendo la geometria di dipinti e opere di digital art.

L’estetica Kawaii, che si traduce in “grazioso”, rappresentata dall’ onnipresente gattina, ingloba nel suo universo di colori saturi quella della street art, e contribuisce a desacralizzare i riferimenti storici in quell’ottica post-modern che sta affascinando più che mai negli ultimi anni. L’emblema di Hello Kitty intende rivisitare soggetti prevalentemente femminili della Storia dell’Arte: dalla Gioconda, alla Medusa di Caravaggio, alla Venere del Botticelli fino ad un Narciso dai tratti “gentili”, come sottolinea la curatrice.
I lavori di Nagao trasmettono un’innocenza di fondo anche quando le icone sono più controverse, come la Madonnina del Duomo. E’ tributo alla città di Milano, il cui uso potrebbe rischiare accuse di blasfemia, mentre è invece celebrata nella sua purezza giovanile, nell’intatta spensieratezza dell’astrazione espressiva, quasi sacrale, del mondo kawaii.

Tomoko Nagao, Venus after Botticelli, olio su tela, 2020

Se alleggerire e demitizzare i riferimenti storici avviene sempre nel riconoscimento urbi et orbi del capolavoro arcinoto nei secoli, l’intento parodistico o giocoso si avvale del logo pop: ad esempio quello di una lattina di Coca Cola tra le mani dell’Infanta di Spagna di Velázquez. In chiave Kawaii anche la Salomè nel ristorante di Vik perde la sua tradizionale drammaticità sanguinaria, nel colore saturo della ceramica smaltata, da carnefice a innocua buffa bambola sul piatto destinato, nella fonte originaria, alla testa del Battista. Ancora femminile e delicato il San Girolamo di Tomoko, da erudito asceta a ragazzina del ventunesimo secolo chiusa nella sua cameretta con smartphone e pc.

La mostra Women in Pop nella 210 Gallery propone un saggio delle diverse tecniche affrontate dall’artista. I dipinti ad olio vivono di intensi toni a campiture piatte ben demarcate da tratti netti, oppure mostrano un colore “più rarefatto, quasi gassoso fino a fingersi acquerello, strizzando l’occhio alla lezione di Nara Yoshimoto”, suo maestro giapponese, come scrive Nidiaci.

L’acrilico impiegato è soprattutto a stencil e spray, riecheggiando l’esperienza milanese di street art praticata in numerose occasioni, e si notano alcune stampe di digital art. Una sezione di lavori, con ripetizioni di moduli geometrici o motivi figurativi riflette l’intromissione dell’icona di Hello Kitty, nella logica formale della moltiplicazione street style, con colature più o meno volutamente non controllate. Si vedono da Vik anche nuovi supporti come il PVC dell’ultima produzione, dai toni iridescenti e riflettenti, in grado di rendere più fluttuante il soggetto rappresentato.

Non è un’arte che scuote quella di Tomoko Nagao. Semmai suggerisce un’auto-analisi indulgente dello stile di vita moderno, nella possibile discrepanza tra la rapida fruizione di un’immagine e il suo sopravvivere nei secoli. La riflessione si srotola con la leggerezza di una carta giapponese, fluo.