Bonus artisti, poche idee ma confuse

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Il governo viene incontro con atteggiamento paternalistico anche agli artisti e a chi ci intrattiene, con 600 euro. Chi riceverà di fatto questi soldi? Proprio tutti quanti coloro che vivono di arte sono stati raggiunti dal bonus? Durante la presentazione del Decreto Rilancio, il premier Giuseppe Conte il 13 maggio scorso non dimentica nel suo lungo discorso di annoverarli e al minuto 13.05 dice esattamente così: “La cultura: non dimentichiamo neppure questo settore. Abbiamo un occhio di attenzione per i nostri artisti che ci fanno tanto divertire e ci fanno tanto appassionare. Per gli iscritti al fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo, che abbiano versato almeno sette giorni di contributi nel 2019, arriverà l’indennità di 600 euro anche per i mesi di aprile e maggio”.

Il mondo dello spettacolo, del cinema, del teatro non è solo quello degli attori, dei cantanti, del luccichio sfavillante del palcoscenico “che ci fa tanto divertire e ci fa tanto appassionare” e che trova un contratto a primo colpo e che può tranquillamente attendere tempi migliori. C’è un mondo dentro il mondo, fatto di altri attori, altri cantanti, artisti, ballerini, musicisti, modelle free lance, ragazze immagine, artisti di strada e anche di attrezzisti, montatori, operatori delle luci, costumisti, truccatori, che spesso non lavorano con un contratto ma quando c’è un lavoro. Ad esempio, ogni piccolo paesino sul mare d’Italia ha una media di 200/300 musicisti che “ci fanno divertire e che ci fanno appassionare”, se facciamo dunque un rapido calcolo già solo con loro il numero che viene fuori è impressionante.

Ne parliamo con Yuri Napoli produttore, attore cinematografico e di prosa, che scrive testi teatrali ed è regista teatrale sia in Italia che negli Usa

Ne parliamo con Yuri Napoli produttore, attore cinematografico e di prosa, che scrive testi teatrali ed è regista teatrale sia in Italia che negli Usa. Lui e tutti i suoi amici vivono facendo arte, un’ intera generazione di giovani trent’enni che “ci fanno tanto divertire e ci fanno tanto appassionare” ed è con persone come Yuri che dovremmo parlare per capirci qualcosa in questo settore, come in altri, prima di tirare fuori idee bislacche che all’apparenza sembrano d’aiuto e all’atto pratico suonano come un segnale di abbandono, ma noi vogliamo dare il solito beneficio del dubbio e sperare almeno nella buona fede.

Qual è la prima falla di questo bonus di 600 euro confermato nel Decreto Rilancio?

Una mia amica, attrice e protagonista di serie in Gomorra, quest’anno è diventata mamma quindi non ha potuto lavorare per restare con il bimbo. Ma nel 2017 e 2018 ha lavorato molto. Lei non risulta idonea per il bonus artista perchè il governo ha deciso di vedere solo se hai lavorato nel 2019. Con questo esempio si capisce tutto.

Come sopravvivono gli artisti in questo periodo?

Paradossalmente in Italia non esiste un sistema di regolamentazione che riproduce la realtà della cultura del paese, perchè esiste un mondo di professionisti altamente qualificati che non riescono a trovare una corretta collocazione, un inquadramento nel complesso sistema che lo Stato ha previsto per definire un artista, quindi ricevere poi determinate agevolazioni previste per la categoria. Il governo, come sappiamo, ha messo a disposizione qualcosa, esistono dei sistemi, delle agevolazioni, dei sostegni finanziari per gli artisti, ma non tutti possono accedervi, perchè altamente lontani dalla reale situazione dell’artista. Non si fa lo sforzo di capire qual è la realtà, ma solo di capire che se tu fai l’attore vuol dire che hai pagato i contributi durante l’anno perchè una compagnia ti ha assunto secondo contratto nazionale, cosa che è vera ma che rappresenta il 20% del tessuto della produzione culturale italiana. Poi esiste la dimensione dell’associazionismo culturale, previsto dalla legge, per cui si può lavorare evitando alcuni cavilli.

Parliamo di lavoro in nero?

Non solo in nero, perchè si può qualificare un lavoratore all’interno di un progetto culturale non per forza attraverso i parametri previsti da una prestazione dell’attore. Esistono le scritture private, ci sono diversi modo di poter inquadrare un artista che sta andando sul palco e spesso questa cosa non coincide con i requisiti necessari che pretende un contratto nazionale. E’ chiaro che dentro questo cerchio c’è anche il lavoro in nero. Provo a mettermi nei panni di una piccola realtà culturale che vuole mettere in scena uno spettacolo frutto di tre anni di studio in Accademia, che vuole noleggiare uno spazio per far lavorare cinque ragazzi, studenti, con un tecnico delle luci, e poi far entrare le persone a teatro e pagarsi tutto con gli incassi dei biglietti. Se si vuole fare questo legalmente non si riesce a farlo. Magari fra questi c’è il nuovo Strehler, il nuovo Gassmann, che non riuscirà ad entrare nel circuito in modo autonomo a causa di tutti quei cavilli e quegli obblighi che letteralmente gli impediscono, a meno che non abbia i soldi di tasca sua, di poter iniziare a sperimentare la sua forma d’arte.

Quindi cosa succede, questi giovani mollano così?

Esiste una forma di associazionismo che consente di evitare questo tipo di obblighi e si fa sempre nella legalità. Semplicemente acquisisci un’altra qualifica. Però lo Stato non ti riconosce come attore e perdi quelle agevolazioni che guadagneresti. Un esempio: in un anno puoi aver fatto cento spettacoli e lo Stato non dice che sei un attore. Mentre un altro che ha avuto la fortuna di vincere mezzo provino in un Teatro Stabile e fa sette repliche da comparsa, per lo Stato è un attore. Bisogna creare un nuovo sistema di identificazione dei requisiti che fanno di te un attore, che sta facendo cultura, ma non perchè lo Stato deve adottare tutti, ma perchè l’Italia è il Paese con la più grossa identità culturale del mondo e non può non favorire e non concepire un sistema di protezione per la sua tradizione teatrale e cinematografica, quindi preservandola tutta. Faccio il confronto con gli USA: loro non hanno una tradizione neanche lontanamente paragonabile alla nostra, ma da noi si ignora il mondo di invisibili che produce cultura, di quei professionisti che non possono esprimersi.

Come potrebbe fare il governo a capire se un artista ha lavorato e quanto?

Faccio l’esempio dell’IMAIE. Un collettivo che si occupa di curare i diritti prevalentemente degli interpreti, che hanno adottato un sistema diverso e ben funzionante. Vogliono vedere materiale, eventuali accordi presi con le persone con cui si è lavorato. Se ci sono contratti bene, ma se non ci sono contratti e ci sono scritture private o dichiarazioni bene lo stesso, qualunque cosa faccia capire cosa fai o cosa hai fatto e poi sono loro che dicono se sei o no un artista. Posso capire che il governo non possa controllare milioni di queste dichiarazioni, però se ci sei tu al governo trovi una soluzione per non evitare l’argomento. Bisogna risolvere efficacemente la situazione non dimenticando nessuno. Troppo facile tirare fuori il contributo. Se io Teatro Stabile assumo cinque attori, che un giorno riceveranno un contributo statale perchè c’è il Covid, intanto a me Teatro Stabile sono costati il triplo al momento dell’assunzione per le tasse e i contributi. Un ragazzo di 20’anni che magari può aver scritto un’opera come l’Amleto e non incontra un Teatro Stabile che può mettergli in scena quest’opera, come fa? E’ costretto a rifugiarsi in leggi ibride di cui lo Stato è pieno, ma non essendo per lo Stato uno spettacolo a tutti gli effetti non acquisisce la qualifica di artista.

Negli Stati Uniti funziona diversamente?

Negli USA una volta acquisito un contratto puoi chiedere di entrare nella Union degli attori ma lì non ci sono difficoltà per avere contratti, piuttosto le agevolazioni per poi mettere in scena uno spettacolo sono nettamente superiori perchè c’è un sistema basato su un’economia che funziona e si vendono tanti di quei biglietti da poter pagare tutto. Il privato sponsorizza molto. In Italia questo non esiste e bisogna prevedere qualcosa di diverso come dei livelli di obblighi. Non fai pagare un Teatro Stabile e una compagnia di giovani allo stesso modo, perchè quest’ultima ha bisogno di crescere. Lo Stato italiano ignora che l’arte non è sostenuta dal privato come in America, dove c’è un flusso economico superiore rispetto al pubblico. Invece in Italia si sopravvive solo grazie ai soldi pubblici. Esiste infatti il Fus, Fondo unico per lo spettacolo, cui è difficilissimo accedervi ed io lo trovo anche corretto, ma paradossalmente lo Stato italiano investe nel Fus la metà di quanto fa la Francia che non rinuncia ad investire nella sua tradizione teatrale e cinematografica. Così come l’Inghilterra. Paesi che hanno investito sulla loro identità culturale facendo di questo un settore remunerativo, mentre in Italia ci siamo voltati dall’altra parte, inventando una burocrazia e burocratizzando l’artista imponendogli dei connotati che non gli sono propri. Il coronavirus ha messo in luce un principio che è assolutamente sbagliato poiché questo sistema non riflette la reale situazione artistico-culturale nel nostro Paese.

@vanessaseffer

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