“Quello schiaffone in faccia mi ha fatto capire tutto…”

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Claudio Coccoluto dj Hall the St.Regis Rome_credits PH Azzurra Primavera

“Domani probabilmente saremo memoria storica. Oggi siamo semplicemente vita che fa rumore”. Perché basta riempire di musica e sonorità coinvolgenti i complessi alberghieri stellati in giro per il mondo regalando show, performance e cultura ad un’Italia che ha dimenticato il significato della parola movida, contagiata dal Coronavirus. “Total Volume Project” è il format ideato da Luisa Berio che, coadiuvata da Ursula Seelenbacher, a porte chiuse all’hotel St. Regis di Roma ha dato il via ad una serie di meeting in streaming con un protagonista d’eccezione: il mago della consolle Claudio Coccoluto. Il dj romano, originario di Gaeta in provincia di Latina, è tra i più apprezzati giocolieri del sound postmoderno, capace di remixare linguaggi e generi passando dall’house all’elettronica in un lessico stilistico unico, che lascia il segno nel panorama musicale italiano e internazionale delle playlist. L’obiettivo, che fa rimbombare le casse, è quello di “lanciare un messaggio di resilienza, speranza e solidarietà per i professionisti dell’ospitalità e dell’intrattenimento che stanno cercando nuovi modi per continuare a fare il  proprio lavoro”, nonostante la crisi causata dall’emergenza sanitaria del Covid-19. Tra eventi artistici, installazioni site specific, happening a tutto ritmo e dj set a tema che si ripeteranno in più puntate, approdando nella principali città italiane. Dopo il debutto mattutino di sabato scorso nella Capitale, sull’insolito palcoscenico di dimore storiche, gallerie espositive, terrazze en plein air e saloni di celebri strutture dell’tellerie – che hanno subìto un duro colpo con la riduzione dell’afflusso turistico – l’appuntamento sbarcherà a Firenze nel mese di giugno. Coccoluto si racconta a Off ricordando aneddoti e curiosità della sua carriera, quando la movida capitolina targata anni ’80, con i suoi locali trendy, emulava l’iconico “Studio 54” in voga nella nightlife di New York. E lo fa in seguito all’esibizione “extra omnes” nella hall dell’albergo, in uno scenario inedito che si ispira all’estro visivo e concettuale dei creativi Sun Yuan e Peng Yu con la curatela della “Galleria Continua”, spazio dedicato all’arte contemporanea che ha di recente inaugurato la sua sede al St. Regis Rome, diretto da Giuseppe De Martino. Le coreografie della ballerina Irma Di Paola, che ha danzato fra le note nell’aristocratica Sala Ritz, hanno incantato con i suoi passi gli spettatori online.

Che cos’è “Total Volume” ? 

È un’iniziativa nata in un momento di vuoto generalizzato, che parte dal contesto socio-politico in cui siamo capitati, nonché da quello dettato dall’urgenza pandemica che, con la pausa forzata, ci ha indotto a ripensare e rivedere percorsi già fatti per riempirli di arte e cultura. Ragionando sui contenuti, nell’incontro tra un dj e una grande professionista del settore alberghiero come Luisa Berio, è stato spontaneo accendere i riflettori sul vissuto comune. Gli hotel chiusi, il turismo bloccato e la sospensione delle attività ci hanno fatto credere che un progetto intelligente e divertente potesse essere quello di performare in location inusuali, prive di persone ma non delle anime e delle esperienze che ci sono passate dentro. In fin dei conti, sono luoghi con una loro vitalità, a prescindere dall’essere aperti.

Si può ripartire in solitaria con la musica aspettando di assembrarci ancora?

La domanda è sibillina, ma la risposta è sì. Perché la musica è un aggregante di idee, sensazioni e pulsioni. Quindi non vedo nessun problema nel veicolarla virtualmente considerando la situazione attuale che stiamo vivendo. Lo streaming oggi va benissimo perché esistono condizioni particolari e favorevoli che lo consentono. Quello che  promette il futuro sono le riflessioni che si potevano fare prima del Covid. Però, in un vortice di responsabilità fuori dal controllo personale, perché troppo presi dai nostri impegni, le abbiamo omesse. Il discorso, invece, può diventare centrale, riappropriandosi di una creatività che non deve essere solo remunerativa, o comunque arricchente dal punto di vista economico, ma lo è sul piano artistico per chi vive il talento come impeto naturale.

Quando ha iniziato a fare il dj?

Non oso definirla professione neanche a 57 anni, non ci sono i tratti definitivi del lavoro. C’è una grande passione dietro che nasce perché ho sempre ascoltato i dischi, avendo la possibilità di maneggiarli. Mio padre aveva un piccolo negozio a Gaeta, in provincia di Latina, una sorta di bazar dove si vendevano elettrodomestici, chitarre e bombole del gas. Ho giocato sin da piccolo con giradischi, magnetofoni e vinili. Per me il disco era un compagno di avventure, lo compravo proprio come acquistavo una collezione di soldatini. Poi ho iniziato a partecipare da proto-dj alle feste di amici e non, ma senza intenzioni particolari. Nel 1980 mi sono trasferito a Roma per studiare all’università. In quella Capitale che, di notte, era un’appendice in forma diffusa dello “Studio 54” di New York. E così ho cominciato a frequentare locali su locali, mi sono appassionato, intraprendendo questa strada. Tuttavia, non ho incentrato alcun disegno di vita sul mestiere di dj, al di là del fatto che mi piaceva condividere la mia musica con gli altri. Il resto è arrivato da sé.

Ricorda un episodio insolito e curioso degli esordi della sua carriera?

Da ragazzo sono sempre stato attratto maggiormente dalla “new wave” più che dalla “black music”, almeno nella fase iniziale. Comprai batterie e sintetizzatori, entrando in un mood dal sapore elettronico. Arrivò un ingaggio importante al “Seven Up” di Formia nel ’79, mi presentai con tutta la mia mercanzia. Ore infinite a montare e cablare. Poi misi come terzo disco “Numbers”, un beat electro con una voce robotica che contava i numeri e il proprietario del locale mi invitò sistematicamente a lasciare la consolle. Non fu un grande successo. Un episodio che mi ha segnato con uno schiaffone in faccia e grazie al quale ho capito che i sogni devono incontrare la realtà commerciale dell’imprenditore che sta lì per cercare di guadagnare, oltre che promuovere l’arte. Ritengo che sia necessario trovare un buon compromesso per ottenere un ottimo risultato.

L'intervista OFF a Claudio Coccoluto
Hall Consolle Lumen_credits PH Azzurra Primavera

Jo Squillo con i dj set ha fatto impazzire il web. Cosa si augura per il suo progetto? 

Niente di quello che si augura Jo Squillo, non mi interessa quel tipo di esposizione mediatica e di successo. La musica secondo me è un complemento importantissimo sul fronte culturale del turismo in Italia. Sonorità elettroniche evolute che guardano ad un divertimento sano, condiviso, applicabile ovunque e non solo nelle quattro mura di una discoteca, un posto che, di per sé, mi sta stretto. Si può suonare dappertutto: sulla sabbia, su un’isola o un bene archeologico, in un albergo vuoto. Spero che “Total Volume” possa essere un esempio e fonte di ispirazione. Non mi metterei mai a fare un dj set su un balcone con due manichini accanto. Tuttavia non giudico, è una questione di gusti individuali che appartengono alla modalità con cui ci si vuole mostrare agli altri.

Come ha affrontato il lockdown?

Ascoltando cd, leggendo libri, chiacchierando con gli amici e riflettendo tanto. Ho risentito gente che non chiamavo da anni. Un’occasione per ricontattare conoscenti con cui, per la fretta di cui parlavo prima, non avevo più rapporti da tempo. Un bellissimo esperimento valoriale e umano.

Non solo cinema e teatri, anche le discoteche hanno sofferto a causa del Covid-19 e ci vorrà del tempo perché tutto ritorni alla normalità. Qual è la sua opinione?

Penso che il virus, oltre che un nemico per alcune categorie professionali, sia un avversario per la cultura, minata seriamente con l’interpretazione pressappochista che ne ha dato il governo. Non si è cercato di trovare soluzioni valide, almeno nel nostro comparto. Certo, è difficile, perché l’aggregazione è il punto di forza. Ma sarebbe stato auspicabile dare delle date plausibili per la calendarizzazione a coloro che necessitano di una programmazione mirata per l’opening. Ancora adesso galleggiamo nel nulla, senza sapere con esattezza quando sarà possibile riaprire e tutto ciò lascerà numerosi imprenditori pieni di debiti e con un fatturato pari a zero nel 2020. Nell’ipotesi di una prossima riapertura, salute permettendo, non tutti i professionisti saranno in grado di rialzarsi: il rischio è quello di dare campo libero all’illegalità e, di conseguenza, alla malavita.

Le manca esibirsi live davanti al pubblico scatenato in pista?

Non si può spiegare. In circa 40 anni di attività non mi è mai successo e non ho mai avuto uno stop così lungo. Manca quasi come il respiro, viene meno un pezzo importante delle emozioni a cui sei abituato.

 L’estate è alle porte ma, secondo lei, si potrà ballare come una volta?

Credo molto nella bella stagione, nello iodio del mare, nell’aria aperta. Naturalmente lo dico da ignorante e non da virologo, ma da originario di una cittadina marittima come Gaeta, dove ho trascorso la mia infanzia. Sono sempre stato un fan della spiaggia come elemento curativo e di benessere. Anche se attualmente c’è questo trip della movida, parola orribile, che ha assunto un significato completamente differente dalla sua etimologia storica. Immagino sia il frutto di tre mesi di reclusione, poiché ai ventenni non si può chiedere di comprendere e contenere un flusso continuo  di informazioni contraddittorie. Però sono abbastanza fiducioso, qualcosa si sbloccherà durante la seconda metà dell’estate che verrà.

 Un consiglio che darebbe ai gestori dei club e ai nottambuli?

Ai gestori consiglierei di non aprire in nessun modo che possa essere considerato un surrogato di una vera apertura. Una raccomandazione spassionata che do a chiunque abbia pensato di mettere in atto artifici o strani apparecchi, scanner, plexiglass o altro perché rovinerebbero, sbagliando, la magia di quello che stanno tentando di vendere e proporre. Confido che gli amanti della vita notturna non si imbuchino nei party illegali che spunteranno come i funghi. Mi auguro che le persone con un minimo di coscienza rispettino la “club culture”, quella vera, e non si prestino al giochino di dare manforte ad iniziative illecite. Durante la pandemia ho conversato “face to face” su Instagram con un mio vecchio collega, pilastro degli eventi topici nell’era house: Alex Serafini. Lui l’organizzatore delle serate di Bergamo, io il dj. Dialoghi rievocativi, ricchi di ricordi di un tempo, per andare avanti e pensare al domani con nuove proposte.