“In stato di paura la popolazione accetta qualunque intervento dall’alto…”

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Il Coronavirus è un tema che ha ormai avocato a sé il monopolio dell’attenzione mediatica. Eppure, circa il Covid-19,  tanti sono i punti ancora oscuri. E tante le domande: Dove è nato? Le misure di contrasto sono eccessive oppure no? Il terrore esercitato da questo virus è giustificato? Questi e altri temi sono affrontati nel nuovo libro “Coronavirus. Il nemico invisibile” (Uno Editori, 315 pagine, prezzo di copertina 12, 90 euro), scritto a quattro mani da Enrica Perucchietti e Luca D’Auria. La prima, nota autrice di saggi “non conformi” e giornalista, è caporedattrice della Uno Editori di Torino, il secondo avvocato penalista e opinionista, nonché docente di intelligenza artificiale e processo penale nel Master di Criminologia della Business School de Il Sole 24 Ore.

Proprio con Enrica Perucchietti ci siamo concessi una chiacchierata su questa sua ultima fatica. Un saggio che si annuncia interessante a partire dall’introduzione, che contiene la seguente riflessione: “Abbiamo ceduto la nostra libertà in cambio dell’illusione della sicurezza. Le città deserte, la quarantena forzata e la paura del virus hanno proiettato l’uomo animale sociale dentro un reale virtuale. A osservare il mondo da una finestra e ascoltare le notizie da uno schermo. Isolati, a distanza di sicurezza. Bolle tra le bolle. Finché l’emergenza non passerà o non venga trovato un vaccino… Tutti tracciati con lo smartphone come in un vero e proprio scenario distopico: una dittatura sanitaria. Senza certezza sul futuro. Ubriacati di paura”.

Parole che fanno pensare, Perché, in fondo, è proprio quello che stiamo vivendo. Non abbiamo certezze su quando questo regime “straordinario” finirà. Anzi, non le abbiamo su nulla. Ma, di certo, abbiamo paura. Eccessivo allarmismo?

L’emergenza è sicuramente drammatica ma stiamo vivendo anche un cambio di paradigma, sociale, politico, giuridico e persino antropologico (e questi ultimi due punti si focalizza l’analisi del coautore, l’avvocato Luca D’Auria) che si prolungherà ben oltre la fine della pandemia. Quello che da subito volevo mettere in luce è che, schiacciati sotto il peso della paura, rischiamo di incamminarci verso uno scenario che non è stato ponderato ma che viene legittimato, un pezzo alla volta, sull’onda dell’emotività, con il Parlamento chiuso.

Nel vostro libro affrontate il tema dell’impatto geopolitico del Covid-19. Che idea ti sei fatta?

Ho cercato di unire i tasselli per offrire in modo obiettivo e documentato il quadro della situazione senza prendere posizione. È innegabile che nella prima fase la pandemia abbia danneggiato soprattutto la Nuova Via della Seta con la Cina e i due partner commerciali della BRI, Italia e Iran. Ciò ha innescato le accuse di Iran e Cina (tramite il portavoce del ministero degli esteri cinesi Zhao Lijian) agli USA di poter essere i responsabili della pandemia, aprendo anche all’ipotesi di bioterrorismo. Dall’altra, però, gli USA sono diventati ora il terzo Paese per numero di contagi. Il fenomeno evolverà ancora e forse proprio la Cina, che è stata la prima vittima della pandemia, riuscirà a venirne fuori per prima.

“Coronavirus. Il nemico invisibile” il libro di Enrica Perucchietti e Luca D'Auria

Esiste un pericolo di militarizzazione del Paese? Stiamo concedendo troppo facilmente lo smantellamento delle nostre libertà? E, se sì, perché?

A mio parere sì, perché siamo spaventati e disposti a tutto pur di ‘salvare la pelle’. Lo stato di eccezione sta aprendo a un’area grigia che legittima persino il ricorso alla sorveglianza tecnologica per monitorare e controllare i cittadini come un grande fratello elettronico, creando così un precedente pericoloso. Intraprese certe strade potremmo rischiare di non tornare più indietro nemmeno quando l’emergenza sarà rientrata (un po’ come è successo all’indomani dell’11 settembre negli USA con l’introduzione del Patriot Act). Quello che evidenzio nel libro è che in stato di paura la popolazione si sente disorientata, smarrita, paralizzata dal terrore come il prigioniero vittima di tortura, al punto da affidarsi ciecamente a chiunque le offre la sicurezza, arrivando ad accettare qualunque intervento dall’alto…”.

Che cosa dobbiamo temere di più: il virus o lo stato di eccezione?

Al momento mi preoccupa la reazione che stiamo avendo di fronte all’emergenza, perché stiamo adottando quegli stessi atteggiamenti che Orwell descriveva in 1984: ci stiamo trasformando in psicopoliziotti, delatori pronti a intraprendere la caccia all’untore e ad attaccare con violenza inaudita e urlo purificatore (che ricorda i due minuti d’odio orwelliani) chiunque non rispetti secondo noi i provvedimenti o contro coloro che osano dissentire. La politica sta alimentando questa deriva fanatica invitando non tanto al rispetto delle regole, che è sacrosanto, quando alla cieca obbedienza: dovremmo chiederci se dallo stato di diritto non stiamo scivolando verso uno stato totalitario. Per quanto la situazione sia drammatica, non dobbiamo abbandonarci alla disperazione, dobbiamo essere forti, pazienti, rispettare le regole ma anche poter essere liberi di prendere posizione e criticare i rischi di certe deviazioni per salvaguardare il benessere e il futuro della collettività.