Manuela Mandracchia è tra le protagoniste della nuova serie Netflix “Luna Nera”, in cui interpreta la strega Tebe; l’attrice ricorda quella volta in cui, prima di recitare ne “L’orso” di Anton Čechov, scivolò sul tulle del suo costume rimanendo a terra rannicchiata per “smaltire la vergogna”.
Cos’è il teatro per lei?
Il teatro è la casa. Il luogo fisico e mentale dove sviluppare la propria creatività, affinare gli strumenti, ripensare il proprio cammino, correggere gli errori, provare, provare, provare, incontrare fisicamente il pubblico. Partenza e arrivo.
Ha interpretato il ruolo di Rosaura ne “I due gemelli veneziani” di Carlo Goldoni diretta da Luca Ronconi. Che esperienza è stata?
In realtà bisognerebbe parlare di tutto il percorso d’attrice fatto accanto a Luca Ronconi. Ho avuto la fortuna di essere diretta da lui in una decina di produzioni : “Il Panico”, “Lolita”, “La vita è sogno”, “I due gemelli veneziani”, “Amor nello specchio”, “Questa sera si recita a soggetto”. E ogni volta è stata un’opportunità straordinaria di incontrare un vero maestro del teatro, un lettore speciale di testi, un funambolo della parola, un inventore di mondi. Che esperienza per un attore! Luca Ronconi manca molto al teatro di oggi.
Un episodio off e insolito di quando ha iniziato?
Ero veramente giovane. È stato addirittura prima di entrare in Accademia. Stavo recitando ne “L’orso” di Čechov. il palcoscenico era ricoperto- scelte di regia- di tulle nero. Uscendo di scena, ad un passo dalla quinta, scivolo sul tulle. Cado per terra: metà corpo in quinta e i piedi ancora in scena. Ho ritirato lentamente i piedi ben visibili a tutto il pubblico e sono rimasta rannicchiata per terra a “smaltire” la vergogna! Allora mi sembrò tremendo, oggi ci penso con affetto. In fondo gli errori regalano frammenti di vita e di energia.
Nella serie Nexflix “Luna Nera”, per la regia di Francesca Comencini, Susanna Nicchiarelli e Paola Livia Randi, è Tebe. Ci parla del suo personaggio?
Tebe è il capo delle cosiddette “streghe”. È una donna coraggiosa, determinata, che non teme la propria autorità. Ma è anche accogliente, affettuosa e materna. Nel suo passato c’è lo studio con una maestra speciale, un matrimonio imposto senza amore e un’accusa di stregoneria. Tutto questo l’ha portata a raccogliere attorno a sé donne come lei, perseguitate e svilite, diverse, donne con dei poteri che non hanno mai potuto esprimere il proprio talento e i loro desideri. Il primo passo è sentirsi accolte e conoscere se stesse.
Al Cinema ha recitato nel 2011 con Nanni Moretti in “Habemus Papam”, invece quest’anno è sul grande schermo con “Famosa” di Alessandra Mortelliti e con l’opera prima “I predatori” di Pietro Castellitto. Preferisce la cinepresa al palcoscenico?
Sono due mezzi diversi, che richiedono all’attore di utilizzare i propri “strumenti” espressivi in modo leggermente diverso. Ma credo che il lavoro sia lo stesso. Un universo nutre l’altro, un immaginario si innesta nell’altro. Come attori si diventa più forti a frequentare insieme i due mondi.
Come si prepara ai ruoli che veste sul set o in scena?
Ogni volta è diverso. Dipende dal testo, dalla sceneggiatura o dal regista e dai compagni. Però non mi precludo niente : leggo libri, cerco immagini, accedo al mio mondo dei ricordi e ne invento di nuovi da prestare al personaggio. Provo le battute su musica. Cerco di capire, a partire dal testo, come pensa il mio personaggio. E soprattutto mi piace, in scena e sul set, lavorare con i miei colleghi. Guardarli negli occhi ed essere pronta a cogliere l’accadimento.
Attrice teatrale di successo, ha mai pensato di lanciarsi in una regia tutta sua?
Tante volte. È il sogno di tutti gli attori, diciamocelo. Immaginare di poter guidare gli attori come vorrebbero essere guidati! E quando però ci si trova, si capisce quanto sia difficile fare il regista : creare un linguaggio comune, dare forma al proprio immaginario e trovare le parole giuste per trasmetterlo agli altri. A teatro l’ho già fatto con le “Mitipretese”, una compagnia attiva da più di dieci anni e che porta avanti un’utopia: la regia condivisa, collettiva! Fino ad ora con dei buoni risultati, faticosi ma che ci riempiono di orgoglio. E al cinema…chissà! Confesso che in un cassetto ben nascosto ho chiuso tante storie. Dovrei trovare il coraggio e provare a raccontarle.
Che rapporto ha con la scrittura?
Per il teatro mi sono confrontata anche con la scrittura. Spesso si è trattato più di adattamenti che di opere originali. Ma sono convinta che tutto dipenda da una buona scrittura, sia al cinema che a teatro!
Spesso nella carriera di un attore ci sono dei momenti negativi. Le è mai venuto in mente di mollare la recitazione e fare altro?
Sì, ogni tanto capita di perdere il senso di quello che si sta facendo e del proprio lavoro. Sembra di essere in una bolla senza nessuna connessione con la realtà e viene voglia di fare qualcosa di più concreto. Ma poi c’è il pubblico. E non parlo del successo, mi riferisco a quando il singolo spettatore ti racconta che gli hai cambiato la vita, che gli hai fatto aprire gli occhi, che gli hai toccato il cuore. Ecco, questo ti rimette in sella.
Ha lavorato con Mariangela Melato. Cosa ricorda di lei?
Mariangela Melato, oltre che una grande attrice, è stata una compagna di viaggio generosa e divertente! Sempre pronta a prendere le difese dei più giovani e dei più fragili, anche davanti ad un regista con un bel carattere forte e dominante come Ronconi. E poi era intelligente ed ironica. Manca anche lei tantissimo.
Un sogno, non solo professionale, che non ha ancora realizzato?
Un sogno professionale ma che è anche di vita è quello di riuscire a raccontare, sia al cinema che a teatro, noi donne per quello che siamo veramente. Complesse come gli uomini. Non un passo in dietro, ma accanto. Senza semplificazioni, impoverimenti e cliché.