Giuseppe Fava, giornalista ardito e pittore della verità

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Giuseppe Fava è stato anche pittore, non solo un giornalista ardito o un drammaturgo raffinato. L’omicidio avvenuto il 5 gennaio 1984 per mano di Cosa Nostra non ha messo a tacere un intellettuale dal forte carisma meridionale: ha semmai amplificato le tante sfaccettature della sua persona, fino a renderlo un punto di riferimento imprescindibile. “La pittura come documento racconto e denuncia” è la mostra di opere pittoriche realizzate dallo storico fondatore de I Siciliani, che inaugurata il 19 febbraio resterà allestita per un mese intero nella Galleria d’Arte Moderna di Catania. Fortemente voluta della fondazione che porta il nome del giornalista nato nel Siracusano e dal sindaco Salvo Pogliese, è stata curata dalla lucchese Giovanna Mori

La pittura è per Fava uno strumento di comunicazione carico di linguaggi, un mezzo per investigare la realtà siciliana andando oltre la forza della scrittura. I colori intensi, i tratti del viso esasperati e gli sguardi profondi sono gli attrezzi per andare al fondo dell’animo umano.

«Una produzione che seppure varia nelle tecniche – scrive Mori nel catalogo ufficiale – ha sempre mantenuto un unico fine: raccontare la verità. Osservare, dipingere, incidere e disegnare per narrare con onestà fatti, storie, sopraffazioni e violenze; descrivere l’animo profondo della Sicilia e dei suoi abitanti, la povertà che paralizza l’agire, le piaghe di una terra violentata e ferita è il suo bruciante desiderio di riscatto».

Una passione lunga tutta una vita, dagli anni dell’università fino alle inchieste che lo portarono dinnanzi al plotone dei sicari.

«Giuseppe Fava – spiega Mori – conosceva il potere coinvolgente dell’immagine, la forza evocativa o ammiccante di alcune soluzioni e l’immediatezza che la denuncia acquisiva sulla tela o sulla lastra incisoria».

E per farlo si è aggrappato alle rughe del popolo siciliano:  «Fava ha messo in campo una galleria di personaggi malinconici, dolci, talvolta enigmatici o crudeli, più frequentemente sofferenti, ma facenti tutti parte di quella umanità incontrata è indagata dall’uomo, profondamente legato alla sua terra, e dal giornalista e scrittore che riconosceva probabilmente nel mezzo artistico uno strumento di efficace supporto al racconto stesso e alla descrizione della storia del suo tempo».

Tra gli artisti di riferimento ci sono dei grandi classici (sopratutto Hieronymus Bosch); ma anche gli interpreti dell’inquieto Novecento. «Intrisi di forza, di intensità cromatica, drammaticità ed incisività del segno, alcuni dei suoi quadri sembrano evocare in parte modi ed intenti perseguiti dall’avanguardia agli inizi del XX secolo – insiste Mori – L’urgenza di comunicare disagi sociali e conflitti ponendo l’attenzione sull’individuo piuttosto che sulla rappresentazione più o meno accattivante della realtà, fece dell’espressionismo un movimento di rinnovamento e di indagine che non si esaurisce nella sua prima stagione. Quando una schiera di artisti fece della pittura uno strumento di denuncia dei nuovi mali che la guerra, la povertà, la corruzione e il disinteresse verso i più deboli avevano generato, piegando il cuore del Paese».