Nel mondo odierno l’evoluzione tecnologica corre a una velocità che era impensabile fino a qualche decennio fa e che coinvolge ogni aspetto della vita umana. Non ne è esente nemmeno il lavoro che, già ampiamente afflitto dalla congiuntura economica, rischia di mutare radicalmente a causa dell’automazione. Occupandosi del tema, Peter Frase ha preconizzato addirittura la c.d. “ascesa dei robot”, intesa come totale sostituzione dell’uomo con le macchine nelle industrie, scenario che richiama alla mente i romanzi distopici. Sarebbe importante una riflessione attenta in merito da parte della società civile, che invece pare essere impermeabile a questi problemi.
Al riguardo, ci viene in soccorso Aristocrazia Operaia (Aspis, 2019, 280 pagine, 22 euro), saggio di Lorenzo Cenni, curato da Guido Andrea Pautasso, pubblicato originariamente nel 1914, in cui si ipotizza una presa di coscienza della classe dei lavoratori.
Nel corso della sua disamina, l’autore definisce l’aristocrazia operaia come una: «Scuola libera propugnante, fra l’elemento operaio intelligente, una radicale educazione ed un’intellettualità propria: tendente all’esclusione di qualunque pressione ed estranea ingerenza» (Lorenzo Cenni, Aristocrazia Operaia, Aspis, Milano, 2019, cit. p. 165)
Successivamente si scaglia contro tutti i luoghi comuni, confutandoli uno dopo l’altro.
In primo luogo, Lorenzo Cenni deride il sistema democratico considerandolo il vero demolitore del proletariato.
In secondo luogo, lo studioso critica in maniera mordace l’Illuminismo sorto a seguito della Rivoluzione Francese, affermando che: «L’aristocrazia, è vero, si bruttò continuamente di sangue per mantenere intatta l’autorità di casta dominante, ma cosa ha fatto la borghesia, sotto altra forma e più gesuiticamente, dall’89 in poi? Gli eccidi proletari che in Italia, in Francia, nella libera e borghesissima America – e ovunque si meni vanto del verbo democratico – si succedono ininterrottamente, senza neanche più suscitare un serio movimento di protesta» (Lorenzo Cenni, Aristocrazia Operaia, Aspis, Milano, 2019, cit. pp. 76-77)
In terzo luogo, l’autore sferza gli intellettuali asserendo che: «L’uomo che si dice intellettuale perché può mostrare una laurea o una licenza più o meno superiore […] non è che un pappagallo che ripete periodicamente quello che gli è stato conficcato e stereotipato nel cervello sui banchi universitari od accademici» (Lorenzo Cenni, Aristocrazia Operaia, Aspis, Milano, 2019, cit. p. 92)
Infine, Lorenzo Cenni mette alla berlina la politica osservando che: «Quando un uomo onesto è entrato a far parte di una bolgia politica di qualsiasi partito, se ha addirittura l’animo refrattario a qualsiasi adattamento o incoerenza, dopo un po’ di tempo – quando ha conosciuto realmente uomini, scopi e cose – se ne ritira stomacato ed indignato» (Lorenzo Cenni, Aristocrazia Operaia, Aspis, Milano, 2019, cit. pp. 109-110).
In conclusione, Aristocrazia Operaia, a distanza di oltre un secolo dalla sua uscita, risulta un testo fondamentale per comprendere le dinamiche politiche del periodo storico attuale e per riflettere sulle derive terrorizzanti a cui ci sta conducendo la post-modernità.