Ecco un romanzo che non lascia scampo alle emozioni

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“La bambina usciva con le solite scarpe ai piedi, estate e inverno. Mocassini di cuoio sempre sporchi di terra, con o senza calze secondo la stagione. Correva, nella neve, nel fango, nell’erba, correva perché era sempre in ritardo. In campagna, d’altronde, è così, non ci si riposa mai; in casa non ci sono nemmeno le seggiole giuste perché non si sta mai seduti tutti insieme. Si chiamava Luciana, il papà faceva il mezzadro, la mamma come tutte le donne lavorava la casa e la terra e il fratello più grande lavorava la terra anche lui. La casa era squadrata e piatta, di mattoni rossi, con una stanza in basso e due sopra, con il fienile attaccato a una costa e un pollaio di fronte: l’aveva iniziata il nonno e terminata il papà. Era piantata in mezzo ai campi, nel ventre della pianura, dove l’orizzonte è tanto basso che è difficile persino indovinare i contorni delle colline.”

E’ così che si apre il romanzo di esordio di Elena Uber, In questa terra bassa e piatta, uscito lo scorso 14 novembre con Morellini Editore nella collana Varianti.

 In questa terra bassa e piatta, il romanzo di Elena Uber

Un romanzo duro e intenso che, suddiviso in tre momenti – passato remoto, passato prossimo e presente – ripercorre la vita di due donne: Luciana prima e sua figlia Ester poi. Due donne vessate dal dolore, dalla fatica, dalla rassegnazione e dalla violenza. E’ il Dopoguerra; nella Pianura Padana la vita dei campi è difficile e Luciana bambina è già costretta ad assolvere a tante mansioni. D’improvviso, muore suo fratello Aldo, in un incidente, quindi sua madre, uccisa dal dolore. Rimasta sola nella casa di campagna con il padre, un omino fragile e mite e lo zio Tino, suo fratello, Luciana conosce Adriano e decide di sposarlo, per alleviare la fatica fisica della vita agreste. Il loro è un matrimonio senza amore, dal quale nasce prima Emilio, un bambino da subito irrequieto, cresciuto con distacco, e quindi Ester, frutto di una violenza notturna, accolta con più favore dalla madre per il suo carattere mite e silenzioso. Con il passare degli anni Emilio diventerà tuttavia sempre più soverchiante nei confronti della sorella, fino a soffocarla, nell’anima e nel corpo, vessandola con continui soprusi e terribili incursioni notturne. Non c’è scampo per lei: a nulla può il liceo – che lascerà quando i professori diventeranno troppo pressanti per comprendere le ragioni del suo disagio – la sua amica Mary o il lavoro al supermercato. Ester vive in una situazione di continuo timore, chinando sempre la testa, muta, annientata nel corpo dall’anoressia e nella mente da pensieri suicidi. Ma proprio quando tutto sembra essere perduto arriva Marcello, quasi una luce in fondo al tunnel, un ragazzo docile, il primo con il quale Ester sente di poter essere quello che è, senza paura.

Elena Uber sorprende con questo romanzo crudo e straziante, che si caratterizza per una narrazione fluida e asciutta, in cui non c’è posto per alcuna emozione. Un racconto struggente e doloroso che l’autrice – medico in un servizio per le dipendenze – dedica “alle tante donne che conducendomi nelle loro vite mi hanno costretto a questo viaggio”, come si legge nell’incipit.