Incontri casuali, negoziazioni, compromessi. Ma anche collaborazioni e contraddizioni, nel continuo fluire del tempo. E dello spazio. In una Babele di simboli e segni, significati e significanti. Perché l’arte racconta a chi sa osservarla. E stupisce. L’artista romana Gaia Di Lorenzo, classe 1991, è in mostra fino al 25 maggio presso la galleria ADA Project, con la sua personale We contain each other (Breve storia di una spugna).
Una narrativa visiva poliedrica e concettuale in cui viene fuori lo studio londinese della creativa che, tra i tanti progetti, ha fondato negli ultimi anni due collettivi: la serie di tre mostre dal titolo Shift, a Londra dal 2014 al 2015 e Castro, nella Capitale dal 2018. Elementi diversi, istanti che si accarezzano sulle superfici delle opere e diventano l’espressione di metamorfosi interiori, cambiamenti lubrificati dall’illogicità delle emozioni e le forme, quando è possibile coglierle, si sciolgono in una mescolanza di presente, passato e futuro che sfiora il surreale.
La stanza è il luogo sicuro, il rifugio dell’arte. Ma è anche un contenitore che, diversamente da quanto si possa pensare, non garantisce stabilità. E si trasforma in una rete di attimi divergenti destinati a diventare paralleli.
Fino a quando, finalmente, si incontreranno per convergere in un punto dettato dal caso.
Allora sì che ci conterremo a vicenda, entrando e uscendo da una porta, canalizzando esperienze multi-sensoriali tra intimità e incontenibili flussi di desiderio nascosti dalla coscienza. Nella scelta ardua di custodire o rivelare.

“Una soglia come una barriera ma qui è solo parziale. Hai il diritto di attraversarla? Non c’è apertura né chiusura, qui. Il portale, solitamente un varco, blocca una sezione di sala, rendendo i lati un passaggio a sé. Ospita i demoni degli spazi interiori, come fossero forme sognanti proiettate su una superficie. Figure amorfe si scontrano, e vengono intrappolate dai telai di ferro; gli opposti si assemblano in composizioni che rinunciano ad un senso fisso. Sono figure guardiane: ostili, ma unite“, scrive nel testo critico dell’esposizione Carolina Ongaro, che aggiunge: “Per Cicerone, le porte sono punti di accesso (ianuae) alle soglie degli edifici profani. In passato, i portali erano considerati come la ‘terra di nessuno’, una zona non appartenente né all’interno, né all’esterno: un’assenza di dimensione. Ed eccoti qui: scendendo le scale, ti allontani dal chiarore per abbracciare l’oscurità. È forse questo un luogo pericoloso? Scendi, guarda l’organo rilucente e insinuati all’interno. Ti imbatterai in una sostanza putrida che, tuttavia, è fonte di vita. Questa essenza luminosa, splendente come una perla, cela un lato oscuro. La sua superficie perfettamente liscia è segnata da una cavità che è sia entrata che uscita: apre un flusso, come quello del respiro. Il freddo della pietra ti disorienterà ma, lentamente, i tuoi occhi si adattano a una nuova luce. Lasciati avvolgere da un senso di accettazione.I luoghi più profondi non sono mai confortevoli: nello stupore, stai dimostrando coraggio“.

Nel viaggio sinuoso di Gaia Di Lorenzo ci sono le influenze del mondo esterno che caratterizzano la tecnica ordinata e contemporaneamente scomposta dell’artista. In un fiume emotivo che, con differenti codici di lettura, si traduce nel linguaggio mai univoco dell’arte racchiusa in una stanza, in cui le porte, intese come varchi da attraversare ma anche vie di fuga, sono lo “stargate” della memoria.
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