Nola, città di Giordano Bruno, tra fantasmi e “codici Da Vinci”

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Io ho nome Giordano della famiglia di Bruni, della città de Nola vicina a Napoli dodeci miglia, nato ed allevato in quella città”.

Il Bruno, che viveva nella contrada di San Giovanni del Cesco, ai piedi del monte Cicala, figlio dall’ alfiere Giovanni e di Fraulissa Savolina, nacque nell’anno 1548, “per quanto ho inteso dalli miei”.

Nel suo De Immenso egli ricorda con tenerezza la sua casa –che non esiste più- e ne descrive l’ambiente intorno: l’ “amenissimo monte Cicala”, le rovine del castello dell’XII secolo -ancora visibili- , gli ulivi, il Vesuvio di fronte.

Nel De analogia spirituum del De magia naturali , invece, parla degli “spiriti di terra e di acqua” e scrive: “A questo tipo di spiriti appartengono quelli che stanno (…) ai piedi del monte di Cicala, che fu un tempo cimitero degli appestati; io stesso e molti altri ne abbiamo fatto esperienza; passando di là di notte, sono stato assalito da molte pietre che grandinavano con gran violenza in fitta quantità a piccola distanza dalla testa e da altre parti del corpo, inseguendomi fastidiosamente per uno spazio non breve, e tuttavia senza causare alcuna lesione del corpo, né a me né a tutti quelli che possono portare testimonianza dello stesso fenomeno”.

Pare che siano ancora lì e mio nonno, che frequentò il seminario vescovile alle pendici del Cicala, fu anch’egli vittima di questi bruniani spiriti burloni.

Sulla collina adiacente al Monte Cicala, dove il grande filosofo passò l’infanzia tra spiriti e letture aristoteliche, venne edificato nel 1450, quasi cento anni prima, per volere di Raimondo Orsini –principe di Salerno e feudatario di Nola-  il convento di San Michele Arcangelo, detto Sant’Angelo in palco.

Giordano Bruno lo conosceva bene.

E’ “In palco” per la sua posizione dominante, con la città di Nola in platea, spettatrice di uno dei più importanti conventi rinascimentali della Campania.

Oggi è in stato di totale abbandono nell’indifferenza delle istituzioni civili e religiose.

Oltre agli evidenti danni strutturali, nel corso dei decenni è stato continuamente vandalizzato: le maioliche rinascimentali delle edicole votive furono rubate, le miniature in oro di molti dei manoscritti conservati nella biblioteca vennero barbaramente ritagliate, i pastori settecenteschi hanno subito la stessa sorte delle maioliche, delle miniature, e chissà di quante altre cose.

Gli affreschi del refettorio, che ancora “resistono”, sono di rara bellezza.

Nelle storie della passione di Cristo c’è una particolare ultima cena dei misteri, dipinta nel 1503: vicino a Cristo è ritratta una figura femminile. In Italia c’è solo un affresco simile, un dipinto del 1500 nella chiesa di San Benedetto, frazione di Celarda a Feltre, in provincia di Belluno.

Un “Codice da Vinci” tutto nolano, perché fu proprio Dan Brown a teorizzare, nel suo best seller, che nel cenacolo di Leonardo Da Vinci, accanto a Gesù, non ci fosse l’apostolo Giovanni ma Maria Maddalena, “sposa di Cristo”.
 
Il resto è nel degrado: molti degli affreschi sono stati coperti, la facciata cade a pezzi e la strada di accesso è piena di spazzatura.

Il proprietario del convento è l’ordine dei frati minori francescani della provincia di Napoli che, dopo vari tira e molla tra aperture straordinarie, qualche funzione religiosa ma anche “eventi”, ha deciso di chiudere i battenti.

Ancora per quanto le istituzioni civili data l’importanza e la storicità del luogo, non interverranno?

Qualcuno salvi Sant’Angelo in Palco prima che sia troppo tardi, ma forse già lo è.