Il calcio secondo Pasolini: una frase che sa di lascito biblico, di devozione sacrale per uno sport che diventa religione, in un’epoca in cui le chiese cominciano a spopolarsi e dove la ieratica aggregazione delle folle avviene davanti a un campo di calcio, che si trasforma in luogo d’incontro per le multiformi sfaccettature del genere umano. Ecco il pensiero di un intellettuale che ha fatto del calcio un gioco intellettuale e anche una vera e propria poetica, uno stile di vita. Il calcio secondo Pasolini è un titolo evangelico di un libro, che meglio non poteva spiegare l’amore che lo scrittore provava per questo sport.
L’autore è il giovane Valerio Curcio, classe 1992, che nonostante l’età dimostra una delicatezza rara nel trattare un argomento apparentemente semplice, invece molto complesso, allo stesso tempo dimostrando uno spiccato interesse per un emblematico personaggio che certo non appartiene alla sua generazione.
In queste 142 pagine del volume pubblicato a fine 2018 da Aliberti, lo studioso mostra il suo stile fluido e fine per raccontarci un Pasolini super tifoso del Bologna, super innamorato del calcio visto e giocato, del Pasolini tra i promotori dell’organizzazione della prima Nazionale dello Spettacolo, non mancando mai una partita, neanche se si trovava fuori dall’Italia. In questo squisito saggio emerge l’intellettuale, ma soprattutto un grande appassionato di calcio, che vedeva questo sport in modo puro, sacro.

“Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci”. Lo afferma Pier Paolo Pasolini, prontamente citato da Curcio, Pasolini che ha vissuto il calcio quando ancora non era stato inquinato dal business – viene dunque spontaneo chiederci cosa penserebbe lo stesso del calcio di oggi, che diversamente a quello che fu ha perso molta della sua poesia.
“Ma negli scritti di Pasolini non c’è solo il calcio incontaminato giocato dai ragazzi di strada. Da profondo analista delle strutture sociologiche dell’Italia del dopoguerra sapeva e ammetteva senza reticenza che il pallone era anche lo specchio dei difetti del paese del boom economico, di quel popolo che si apriva ai consumi e da cui Pasolini si sentiva tradito.”
Insomma, anche il regista de Il vangelo secondo Matteo – che sembra richiamare in qualche modo il titolo del libro – quello che sarebbe avvenuto l’aveva intuito, anche se non è riuscito ad arrivare fino a noi per giungere forse al punto di disamorarsi del calcio, o forse sarebbe riuscito a preservare la sua purezza attraverso la capacità di sognare? Può essere, quello che conta è che sia stato uno dei primi che in Italia ha elevato questo gioco a cosa alta, non trattandolo come mero intrattenimento.