Simone Cristicchi, reduce dall’ultimo Festival di Sanremo, acclamatissimo dalla critica, torna a Milano con una surreale favola metropolitana: Manuale di volo per Uomo, in scena al Teatro Manzoni di Milano dal 25 al 27 febbraio per la regia di Antonio Calenda.
Di cosa parla lo spettacolo?
È la storia di Raffaello, un quarantenne rimasto bambino, che ha apparentemente un problema preoccupante: ovunque si posa il suo sguardo, percepisce la meraviglia delle piccole cose. Dal fiore di tarassaco cresciuto dall’asfalto ai grandi palazzi di periferia, niente passa inosservato. La sua mente fotografica è una lente di ingrandimento che mette a fuoco ciò che è apparentemente insignificante: proprio dietro ai particolari si nasconde un’infinita bellezza. Raffaello racconta le fragilità di tutti noi che dovremmo restare bambini per superare i momenti dolorosi della vita. “Volare” significa non sentirsi soli e avere il coraggio di buttarsi nella vita.
Qual è il segreto per essere felici?
La normalità: portare a scuola i miei bambini la mattina, ma anche andare al supermercato, al cinema, ma anche riuscire a ritagliarmi uno spazio di silenzio che credo faccia bene un po’ a tutti in questo mondo pieno di rumori a cui ci siamo assuefatti.
Com’è andata a Sanremo?
Probabilmente ognuno si aspettava qualcosa che non è arrivato. A Sanremo può succedere qualsiasi cosa: anche che uno come me possa vincere, come è successo nel 2007. Quest’anno non è accaduto ma sono comunque molto soddisfatto per i due premi ricevuti: quello alla migliore composizione e, soprattutto, quello alla migliore interpretazione, a cui tenevo tantissimo per la mia carriera da attore. Il premio più grande è comunque quello di essere riuscito ad arrivare al cuore delle persone: il mio testo è stato letto nelle scuole, quale vittoria più grande di questa?
Sei il Direttore Artistico del Teatro Stabile d’Abruzzo, come procede il lavoro?
Sono molto soddisfatto, sono riuscito a realizzare la mia visione del Teatro: il luogo deputato a ritrovarsi come comunità dove porsi domande, emozionarsi, tornare a stupirsi e innamorarsi della magia che crea il palcoscenico. Il mio è un incarico prestigioso e stimolante: posso decidere su quali artisti investire, produrre nuovi spettacoli, inventare rassegne per portare il teatro anche fuori dalla platea. Il teatro che piace a me è da one man show, è un teatro essenziale dove l’attore mette in scena i monologhi e i racconti. Credo sia importante dare spazio anche ai nuovi talenti, sto investendo su due spettacoli in particolare: “Vita di Leonardo” con Roberto Mercadini e “L’Arminuta” per la regia di Lucrezia Guidone. Dedico molto spazio anche agli ‘spettatori di domani’. Come padre, tengo moltissimo ai bambini e voglio dare alla città un cartellone di qualità.
Cosa pensi della nuova proposta della Lega di trasmettere in radio una canzone italiana ogni tre?
Non saremmo i primi, in Francia è da anni che si usa fare così: lo Stato tutela la figura dell’artista. Sono d’accordo, oltre al cantante c’è una filiera di lavoratori: il fonico, la casa discografica, gli addetti stampa. A beneficiarne non è solo il cantante ma di tutto quello che ha portato quella canzone.
Che rapporto hai con Milano?
Mi ha sempre accolto a braccia aperte, è una di quelle città che non si finisce mai di conoscere, mi piace definirla infinita. Sono legatissimo alla poetessa Alda Merini, con cui avevo creato un bel rapporto di amicizia. Quando penso a Milano, la prima immagine che mi viene in mente è proprio lei che mi accompagna come un “Virgilio” a conoscerne gli angoli più nascosti e suggestivi.
Raccontaci un episodio Off della tua vita
Ricordo quando andai per la prima volta nello studio del grande disegnatore Jacovitti: avevo ricalcato i suoi disegni alla perfezione. Mi aspettavo che mi facesse i complimenti: invece mi massacrò, mi disse che ero una fotocopiatrice umana. Questo però mi fece capire che nella vita bisogna trovare il proprio stile.