Fuoco cammina con me: la “caverna” rinascimentale neo pop di Dicò

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Fuoco cammina con me: la "caverna" rinascimentale neo pop di Dicò
DICO'_EINSTEIN

Il sole di mezzogiorno trafigge gli alberi ed entra nelle grandi stanze, alzando la polvere assopita nella penombra a riposo. Con una certa soggezione entro in quella caverna colma di colori, di opere, di lastre, di legno, di echi di vite vissute in attesa del loro risveglio. Un po’ come penetrare in un’idea, in un mondo parallelo dove solo gli impavidi varcano quei confini attraversati da fili di bellezza e di storia, tra mondi colorati e iconoclastici. Dove la potenza vivida e brillante della bellezza echeggia e rimbomba dentro gli animi assopiti, spingendoli a svegliarsi di soprassalto: questo è il mondo di Dicò.

Artista fra i più dirompenti, evocativi e originali del panorama italiano e internazionale, una degli interpreti più innovativi del Neo-Pop è senz’altro Enrico Di Nicolantonio in arte Dicò. Fondamentale nel suo percorso artistico è stato l’incontro con la Galleria Ca’ d’Oro, curata da Lamberto Petrecca, che oggi è anche il suo curatore personale. E’ con questa galleria che l’artista partecipa nel 2012 alla grande mostra collettiva Omaggio a Marilyn presentata a Roma e a Miami, in occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa della diva. La collaborazione prosegue e nel 2013 Dicò partecipa alla grande collettiva Omaggio a Verdi nel Bicentenario della nascita del grande compositore. In seguito, l’artista ha esposto anche all’Ambasciata italiana a Montecarlo, in occasione de Il mese della Cultura, al MACRO Testaccio, al Museo Crocetti e al Museo d’Arte Contemporanea MDM di Porto Cervo. Fino ad arrivare a presentare la grande mostra antologica Combustioni a Roma al Complesso del Vittoriano.

Fuoco cammina con me: la "caverna" rinascimentale neo pop di Dicò
DICO’_JOKER

La tua nuova Factory a Roma…

Non è un’idea nuova. Già lo studio a Via del Fiume, traversa di Via di Ripetta, è comunque una factory, nel senso che è sia un’esposizione che un laboratorio. La nuova sede a Piazza de’ Ricci sarà ancora più grande e più spaziosa. Ci sarà anche una migliore visibilità. Parlando delle mie opere, posso dire che senz’altro godono di un’artigianalità molto forte perché utilizzo delle icone già consumate dalla società di massa e cerco di ridare loro unicità attraverso il fuoco: in altre parole, avvolgo i simboli della società già troppo consumati e li avvolgo con lastre di metacrilato che poi, tramite la combustione, rigenero e rivitalizzo restituendo loro una vita nuova e una nuova unicità. La Factory non è solo una vetrina dove espongo, ma dove sto e lavoro… dove sarà possibile vedere, parlare e condividere. È un po’ come il ritorno dell’idea delle botteghe del Rinascimento. Nel mio studio vengono tanti giovani, mi chiedono, provano, stanno un po’ da me e collaborano, così si impara! Bernard Berenson bollava come “l’originalità degli incapaci” quella di chi si improvvisa, pur avendo talento, senza prima studiare e affinare le tecniche. Quindi bisogna prima studiare, prepararsi seriamente…poi, se si ha talento, si va dove si vuole!

Il fuoco porta con sé una forte drammaticità perché brucia e distrugge, ma nel suo caso che valore ha avuto? Attraverso il suo dramma, ha creato una rinascita?

Il fuoco, come l’acqua ed il vento sono elementi naturali che possono avere una duplice valenza: positiva o negativa. Dipende tutto dall’intenzione, questo è ciò che fa la differenza: posso usare il fuoco per distruggere, e l’effetto sarà devastante e annichilente. Se lo uso, invece, per rigenerare allora dalla combustione si avrà una nuova forma di vita. In questo caso, anche l’esperienza personale del dolore si trasforma in un qualcosa di positivo.

Qual è stata la sfida più eccitante dove l’ha condotta la sua arte?

L’incontro tra me ed il mio curatore, gallerista e critico, Lamberto Petrecca è avvenuto in questo modo. Anni fa, passai in galleria da Lamberto, che in quel periodo stava organizzando una mostra, lui non c’era in quel momento ed allora ho lasciato una mia opera, un ritratto combusto di Marilyn, alla ragazza che in quel momento custodiva la galleria. Poi però sono stato contattato da Lamberto che mi voleva conoscere e da lì è iniziato il mio percorso che mi ha condotto sino a qui, fino alla grande mostra antologica al Vittoriano, dopo Miami e molte altre mostre di prestigio. A volte queste cose si leggono sui libri o si vedono nei film, invece la cosa più emozionante è stata che tutto ciò è realmente accaduto: tutto è cominciato da un quadro lasciato lì in modo anonimo. Ero un artista sconosciuto che passava per strada e lasciava un’opera quasi casualmente, fino ad arrivare al coronamento di una grande notorietà.

Quindi, il talento, l’impegno e la fortuna sono collegati?

C’è un aspetto ineffabile, indicibile nell’arte, nessuno può spiegare perché una determinata opera sia ammirata da milioni di persone, rispetto ad un’altra che ha altrettanta qualità di fattura o di esecuzione, ma non ha lo stesso seguito. C’è un aspetto sovra-razionale, quasi mistico, nel mistero dell’arte. E non solo nell’arte figurativa, ovviamente. Perché, tre note musicali in una determinata successione mi fanno emozionare ed altre tre note, in una combinazione diversa, no? Le note in tutto sono sette, ma quanta musica è stata composta con sole sette note? Sapere però, perché quella singola successione di suoni, o di colori, o di linee, ci emoziona ed un’altra no, non è dato sapere. L’arte e la religione sono molto vicine da questo punto di vista, perché entrambe vanno a nutrire la parte spirituale di cui l’uomo è fatto, dato che la vita non si esaurisce con la sola soddisfazione dei bisogni primari. Anzi, proprio valorizzando la propria parte spirituale, si riesce spesso a dare un valore diverso anche alle cose più ordinarie. L’arte ha anche questa funzione.

Fuoco cammina con me: la "caverna" rinascimentale neo pop di Dicò
DICO’_MARILYN

Il cuore delle sue opere è confinato dal plexiglass… si ha un’illusione di libertà, di aria… ma poi, in realtà si è confinati da un limite trasparente, quasi immaginario. Questo muro viene annientato da lei col fuoco, costruendo una via. È una metafora?

Il fuoco ed il metacrilato sono un medium che avvolge un mito. L’immagine di fondo è quella di un’icona che viene avvolta da questa lastra di metacrilato: una gabbia trasparente, senz’aria, ma che poi, bruciando, riceve nuova aria. Il fuoco non esiste senza ossigeno. E così al tempo stesso l’opera si rigenera. Il fuoco fonde questi due oggetti/soggetti prima erano separati per dar luogo a un’opera nuova. L’uno senza l’altro non si rigenera.

C’è una certa drammaticità che lei esprime nelle sue opere, nonostante ciò, possiamo scorgere un messaggio positivo che indica, con una grande luce interiore, che ognuno di noi possiede, chi più chi meno. Utilizza il neon colorato come metafora; mi potrebbe dire di più?

In realtà la molla iniziale può essere la varietà delle emozioni che si sperimentano nella vita, può essere la gioia, può essere il dolore. E se ci pensi, il dolore è un’energia che se rimane introflessa, è semplicemente autodistruttiva. Se invece viene canalizzata verso l’esterno diverrà un’energia foriera di una nuova creazione. Il compito di un artista è quello di trovare nuovi canali nuovi per far fluire le sue emozioni. Quando l’artista trova questi canali, allora le emozioni si incanaleranno nel letto di un fiume che porterà ad una creazione. Poi, i materiali che compongono la creazione possono essere molteplici: il legno, i colori acrilici, il metacrilato e anche il neon. Quest’ultimo ricorda da un lato un universo pubblicitario, è la pubblicità per antonomasia nell’epoca moderna. Il neon, che è un gas nobile, nella creazione artistica dona una nuova nobiltà all’utilizzo commerciale, ed è immesso, rigenerato, nell’opera d’arte.

La necessità di raccontare… i soggetti sono molteplici, dai personaggi religiosi, dal cinema all’arte. Perché li utilizza? Il fuoco è un’entità che mutando resta simile, un mistero dell’unità del molteplice, come afferma Eraclito. Lei si riflette in quel fuoco?

Sono tutti simboli della cultura di massa degli ultimi cento anni. Quindi, tutto ciò che è stato serializzato, moltiplicato: personaggi, religiosi, sportivi, politici… tutto ciò fa parte di un universo mediatico. Da Andy Warhol il mito è stato serializzato con le sue serigrafie: ha dato alle opere d’arte una serialità che prima non avevano. Walter Benjamin, nella sua “Opera nella sua riproducibilità tecnica” spiegava che la fotografia era stata la prima delle arti che aveva soppiantato l’unicità creando la serialità. Dalla unicità alla molteplicità…. Il mio percorso è inverso. Per questo sono un neo pop: prendo i miti già abbondantemente consumati e li rendo unici attraverso il fuoco. Parto dalla molteplicità per ritornare all’unicità.

“La finzione coincide con la verità”. E la verità è quella della materia. Gli antichi dicevano: “Quanto più l’artista, il poeta riesce ad ingannarci e ad imprigionarci nelle reti delle sue bugie tanto più è bravo e degno di lode”. Cosa è finzione e cosa è verità?

Non è una domanda semplice. Posso dire che quando il pubblico è in disaccordo, l’artista è d’accordo con se stesso. Nel senso che è normale, è doveroso, è necessario che un’opera d’arte comporti discussioni, sottolinei delle diversità. Deve andare a rompere delle sonnolenze. Questa è la funzione dell’artista. Deve far svegliare di soprassalto le menti assonnate.

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DICO’_GANDHI

Secondo Burri, l’artista non ha nulla da innovare, essendo lui stesso a rinascere ogni volta, in parallelo all’arte. L’artista, dunque “rinasce” ogni volta insieme con l’opera, perché l’opera è un “accadimento in cui la verità stessa accade e con essa l’uomo nella sua propria verità. Si tratta di un evento. Anziché essere un oggetto prodotto da un soggetto, l’opera è un evento in grado di liberare l’uomo dai limiti della condizione di soggettività nella quale è imprigionato. Per lei è lo stesso?

Molti, vedendo le combustioni, subito mi riconducono a Burri. Certo è stato uno dei primi ad utilizzare le combustioni nell’opera d’arte. Burri è un maestro con la M maiuscola. Tuttavia c’è una grandissima differenza tra il suo metodo e il mio: Burri lavorava sull’astratto, l’elemento di fondo era non figurativo, mentre le mie opere partono da una rappresentazione iconica, quindi, figurativa. Un’icona riconoscibile come sfondo su cui poi vado a creare la combustione. Ed è di nuovo il proseguire su un solco. Nessuno di noi inventa nulla per la prima volta. È solo un’arte combinatoria. L’arte che fa capo a sette colori, come la musica che è fatta di sette note. Più arte combinatoria di questa!

Secondo Heidegger, un artista “avanza sempre a ritroso” ed “il futuro in arte è un traguardo negato”, sembrerebbe il passato la dimensione privilegiata del lavoro dell’artista, il quale, nella sua costante evoluzione, non farebbe altro che tornare, approfondendo ulteriormente quanto inizialmente avvenuto all’inizio del suo percorso creativo. Per lei è lo stesso?

È un grande filosofo ma io non mi sento assimilato alle sue teorie filosofiche perché ritengo che ogni opera d’arte è sempre proiettata verso il futuro, anche quelle più descrittive e più didascaliche, e non solo delle arti figurative ma anche nella musica. Poi indubbiamente esistono forme d’arte che in certo qual modo non propongono nulla di nuovo ma sono solo esercizi di stile rivolti al passato. Ma non è il percorso che ho scelto.
Accompagnare il fruitore dell’opera verso un nuovo traguardo, un nuovo scenario. Questo è il compito dell’artista: fare intravedere squarci nuovi. Spostare il velo per intravvedere nuovi panorami e far sì che altre persone varchino questo confine. Questa è per me la sfida più appassionante di un artista.

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Adriana Soares
Adriana Soares è nata a Rio de Janeiro, vive a Roma dall’età di 11 anni, dove è cresciuta ed ha concluso gli studi linguistici. Artista eclettica che si esprime nelle diverse arti della fotografia, della pittura, della poesia e della scrittura. È permanentemente esposta presso musei con le sue opere che hanno girato il mondo in svariate mostre di successo. È pubblicista e scrive per la sezione cultura del quotidiano Il Giornale: Il Giornale Off. Cura alcune rubriche di Bon Ton su alcune testate. Rappresentata dalla prestigiosa agenzia fotografica “Art and Commerce/ Vogue” di New York. Dal 2017 pubblica le sue prime raccolte di poesie, storie, leggende brasiliane e racconti per bambini. Dal 2019, l'autrice inizia una nuova stagione narrativa con la pubblicazione di racconti per i più grandi. Dislessica per nascita non per scelta.