Storia di un uomo vescica, fenomenologia delle nostre paure

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Flickr - Gianfranco Ferroni - From the studio of Via Garibaldi - by irinaraquel

Rubando a man bassa da Nietzsche, Storia di un uomo vescica è un libro per tutti e per nessuno: molti di noi, uomini e donne, troveranno qualcosa di se stessi tra le pagine di questo breve romanzo di Dejanira Bada,  classe 1984, critica musicale e critica d’arte, al suo secondo romanzo dopo Il silenzio di ieri.

Senza spoilerare, vi diciamo che la vita del protagonista, Maurizio, giovane ma non più giovane trentasettenne milanese tagliatore di teste in azienda, è proprio quell’innanzitutto-e-per-lo-più nel quale molti di noi, uomini e donne (e fra poco vi sarà chiaro il perché di questa insistenza sulla par condicio di genere), si trovano gettati. Gettati da se stessi.

Nessun filosofema, lo stile di Storia di un uomo vescica (con prefazione di Andrea G. Pinketts) non concede nulla alle disputatio esistenziali, anche se è in tutto e per tutto un romanzo esistenziale: la scrittura di Dejanira Bada è secca con un periodare incisivo e senza addenda, né qualificanti e né qualificativi, gli optional non ci sono, il modello di serie è questo, scordatevi Morte a venezia e pensate invece a Houellebecq (ma togliendo i soliloqui narrativi: lo sviluppo della storia è a tratti cinematografico, c’è quel che serve per far muovere il pensiero del lettore).

Quando poi si parla di sesso, di sesso non anatomico ma parlato fra amici, sembra che la scrivente sia invece uno scrivente, il che occasiona due ipotesi: A) l’autrice sa ficcarsi ben benino nella psiche dei maschietti, B) l’autore di questo articolo è un maschilista.

Ad ogni modo, Storia di un uomo vescica non è la storia di Maurizio, che pure è il protagonista, ma quella di una malattia, quel male oscuro narrato dal grande Giuseppe Berto che in questa circostanza assume la forma simbolica di una impossibile corazza organica che fa le veci dell’inconscio, questo nostro compagno di viaggio al quale noi, come il protagonista, non diamo retta perché non sappiamo tradurne il linguaggio, che pure parla a noi di noi. Tu chiamalo il linguaggio del corpo. E se pensate allo scarrafone di Kafka fate bene e fate male.

Storia di un uomo vescica non è solo “quasi cinematografico”, ma addirittura in taluni passaggi, sapientemente mozzati con la chiusa di un capitolo o di un paragrafo o anche con certi inserti narrativi assassini alla american psycho, diventa addirittura un thriller: arrivi alla fine di una riga ma vai avanti anche se sei stanco, perché vuoi sapere come va avanti la storia. E soprattutto vuoi sapere cosa diavolo stia succedendo a quel coglione di Mauruzio.

Un’avvertenza: se siete fra quelli che, oltre alla copertina, guardate l‘indice, non fatevi ingannare dai titoli da Grand Guoinol.

Sangue e merda non ci sono. O meglio, ci sono allo stesso modo in cui c’è la merda quando, alchimisticamente, junghianamente, analiticamente, ti vedi finalmente. Ma poi passa tutto: Storia di un uomo vescica è un principio speranza, è quel grido che (pare) Ernst Bloch gridò in mezzo alla piazza, quel grido di liberazione, di affrancamento, di salvazione che, forse ma forse, dovremmo poter fare in tanti, maschietti e femminucce giovani ma non più giovani.

Dejanira Bada – Storia di un uomo vescica, VME edizioni, Catania, 180 pagine, 15 euro