È il grande debutto per Riccardo Frizza. Il 47enne direttore d’orchestra bresciano, neodirettore musicale del Festival Donizetti, si appresta a calcare il podio giovedì 22 novembre (Teatro Sociale, ore 20.30) per il concerto di gala d’avvio dell’edizione 2018 del festival.
Assoluta novità di quest’anno è la scelta di inserire due titoli off e pressoché sconosciuti del grande operista bergamasco: Enrico di Borgogna (in scena il 23, 25 novembre e 1 dicembre) e Il castello di Kenilworth (24, 30 novembre e 2 dicembre).
Il maestro Frizza, poco prima di una delle ultime prove con l’orchestra, racconta il suo Donizetti al Giornale OFF.
Maestro, come si sente alla vigilia del suo debutto a un evento importante quale il Festival Donizetti?
Sento una grande responsabilità. Affianco il direttore artistico Francesco Micheli in questo festival monografico mettendo al servizio le conoscenze che posseggo dallo studio delle partiture donizettiane. È un compito per cui sento forte responsabilità: nostra missione è decidere quale debba essere la vocalità più adatta per Donizetti, un autore che copre ben un ventennio dell’Ottocento con un repertorio vasto ed eterogeneo.
Perché due titoli pressoché sconosciuti al grande pubblico?
Stiamo proseguendo il progetto #donizetti200 e l’Enrico di Borgogna, quest’anno, compie 200 anni: fu il debutto operistico a teatro di Donizetti, a Venezia, nel 1818. È un’opera fantastica che ci permette di studiare e fare ricerca per porre le basi per l’interpretazione delle opere donizettiane. Il castello di Kenilworth, invece, è un titolo importante del repertorio donizettiano, anche se non proprio conosciuto, e soprattutto di altissima qualità. Ne esistono due versioni, noi eseguiremo la prima datata 1829.
Quali sono le caratteristiche più interessanti di queste due opere?
Il castello, ad esempio, è un’opera molto difficile, con due primedonne che conservano, a loro volta, due scritture totalmente differenti. Quelle di queste opere sono pagine memorabili che dimostrano un’inventiva compositiva notevole, soluzioni armoniche, a volte anche ardite, degne di nota, di una bellezza inesprimibile. Sarà una grande scoperta per tutti.
Concorda sulla definizione di Donizetti come primo compositore italiano romantico?
Assolutamente sì. Fare il compositore all’epoca di Rossini non era cosa semplice in Italia. Eppure, in pochi anni, Donizetti riesce ad allontanarsi da Rossini, autore ritenuto insuperabile. Il declamato, l’uso della parola scenica vengono usati per la prima volta da Donizetti, le opere di soggetto inglese (Il castello rientra in questa tetralogia Tudor assieme ad Anna Bolena, Maria Stuarda e Roberto Devereux) sono di una forza indescrivibile. Sì, Donizetti è il primo romantico.
Maestro, per concludere, ci racconta un episodio off della sua carriera?
Ne ricordo uno in modo particolare. Era il 2004, a Montecarlo, dirigevo Aida. Mi trovai ad una prova con Susan Neves e Dolora Zajik, due delle più grandi e potenti voci di oggi. Eravamo in una piccola sala: ho dovuto chiedere loro di smettere di cantare, ma solo accennare, perché mi fischiavano le orecchie.