
Me lo ricordo ancora, l’addio a quell’attore che Nanni Moretti apostrofò in una celeberrima battuta nel film “Ecce Bombo” («Ma che siamo in un film di Alberto Sordi? Ve lo meritate Alberto Sordi!»). Alberto Sordi, l'”Albertone nazionale”, si spense quindici anni fa e i suoi innumerevoli ammiratori lo salutarono con un enorme striscione nel cielo agganciato a un aereo: “Questa volta ci hai fatto piangere”. Posso assicurare che, ben prima che i miliardari di sinistra anche conosciuti come “radical chic” prendessero il sopravvento nel dibattito pubblico nazionale, la comicità, ma anche la elevatissima caratura drammaturgica di Alberto Sordi, erano osteggiati dai benpensanti e dalle benpensanti di lusso, al punto che rischiavi di fare brutta figura se affermavi di apprezzare i suoi film e pure quelli di Totò. Ma solo chi ha le fette di salame ideologiche sugli occhi, solo chi è in malafede e ha del rancore verso la cultura “popolare”, verso i film che non durano 3 ore e mezzo con un unico piano sequenza in bianco e nero, solo gli autoproclamati benpensanti potevano non vedere l’elevatissima bravura di un attore eccezionale che era in grado di passare dalla commedia de “Il tassinaro” al dramma da pugno nello stomaco di “Detenuto in attesa di giudizio” e “Un borghese piccolo piccolo”. Ma è stato anche l’autore di “Storia di un italiano” , il programma televisivo andato in onda su Rai 2 la domenica in prima serata e trasmesso in più edizioni tra il 1979 e il 1986, sette anni: è notizia di ieri che secondo Luigi Baratta, medico di fiducia di Alberto Sordi, “il [suo] desiderio finale è stato purtroppo da tutti dimenticato: realizzare la seconda parte della “Storia di un Italiano”. Ha lavorato fino agli ultimi giorni. In clinica, era ormai in condizioni gravi, stava al telefono con il musicista per programmare le musiche. Lui voleva realizzare la finale della storia degli italiani a completamento della prima parte”. Non sapremo il finale della Sua, della Nostra storia, ma chissà, forse da Lassù, insieme a un altro Grande, Nino Manfredi, quel finale alla fine l’ha scritto. Intanto vi proponiamo il bell’articolo di Andrea Camaiora (Redazione, Emanuele Beluffi)
Il 24 febbraio 2003 veniva a mancare una delle figure più significative del grande schermo internazionale, Alberto Sordi. È stato per anni il ‘campione’ del cinema anti ideologico e ha saputo descrivere con realismo, vizi e virtù degli italiani con una capacità di leggere l’attualità che rende ancora attualissime la larga parte delle sue pellicole: dagli abusi e gli scandali nel settore sanitario o edilizio, dal moralismo di facciata declinato in ogni sua forma alla decadenza del sistema sociale fino alle storture e alle aberrazioni del nostro sistema giudiziario, Sordi è stato non solo un talento, ma un maestro straordinario.
Il mostro sacro del cinema italiano, amato da tutti trasversalmente, conosciuto e stimato nel mondo, esempio positivo di artista, è fuori dal sistema dell’intellighenzia di sinistra che vorrebbe buttare tutto in politica con tesi precostituite. Adorato dal pubblico è difficilmente aggredibile anche dalla critica. Eppure gli è stato negato l’Oscar.
Contro di lui si scaglia il campione del cinema militante, Nanni Moretti. Nel 1978, in Ecce Bombo inserisce una scena in cui il protagonista, sentendo un uomo al bar che dice: «Gli italiani, rossi e neri, sono tutti uguali», risponde aggredendo e urlando: «Ma che siamo in un film di Alberto Sordi? Ve lo meritate Alberto Sordi!». Moretti scrive la scena per squalificare Sordi e non si accorge che è proprio nell’aggressione fisica e nelle chiacchiere da bar (i comunisti non sono migliori dei fascisti) che Sordi vince ancora una volta.
Anche perché il pubblico, quello degli operai, degli impiegati, dei lavoratori e anche degli studenti, la gente normale che guarda alla realtà come bene, cercando di migliorare e migliorarsi, ha sempre preferito gli affreschi veri del «moderato» Sordi alle pellicole snob del partigiano Nanni. Sordi è un attore antideologico, uomo-manifesto della Cinecittà moderata. Qualunquista? Boh. Di certo, realista. Sordi racconta senza infingimenti l’Italia che c’è, senza ergersi a maestro e soprattutto senza fare il cattivo maestro.
ALTRO CHE QUALUNQUISTA, QUELLO DI SORDI E’ CINEMA DI DENUNCIA
L’opera di Sordi è in fondo cinema di denuncia. Una denuncia che colpisce corruzione, malasanità, mercanti d’armi, sistema giudiziario, truffe dei falsi maghi, perbenisti ipocriti.
Vale la pena di ricordare alcuni frammenti del suo genio, iniziando proprio da Il Tassinaro un film non certo tra i migliori di «Albertone» eppure significativo per capirne l’essenza moderata: il senso di famiglia (mitigato dalla simpatia per la collega tassista Fernanda) del protagonista Pietro Marchetti, dalla sua strigliata alla mamma (obiettivamente «stronza») al senso di unità e serenità che cerca di trasmettere a tutti, dalla moglie al figlio passando per il suocero. E poi la corsa-appello con lo stesso Andreotti in cui Sordi e il «Divo» condensano un piccolo programma di governo: fiducia nell’avvenire ma necessità di una rivoluzione del merito, aspirazione al progresso sociale e all’istruzione ma rivalutazione dei mestieri e persino anticipazione dei deprecati ma necessari esami d’accesso alle università. Insieme a questo, la richiesta del tassinaro di Zara 87 per una prossimità della politica alla gente e per uno Stato che investa sul futuro dei giovani e un modernissimo Andreotti che ricorda che «Lo Stato non può fare tutto». Una pellicola in cui Andreotti si sente anche ricordare che «Lei, onorevole, di raccomandazioni ne ha fatte tante…», ma in cui si prende anche posizione, dicendo che la scala mobile non aiuta il paese. Sordi (e non solo lui) è un patrimonio di provocazioni per l’intelligenza dei moderati, a prescindere dalla loro collocazione politica o dal loro impegno nella società.
È Guido Tersilli, in Il medico della mutua, che svela lo scandalo dei medicinali accumulati nelle case degli italiani e destinati a scadere chiusi lì dentro, inutilizzati.
È la parabola del magistrato Annibale Salvemini, in Tutti dentro, che per mancanza di zelo e smania di un malinteso senso di giustizia passa da accusatore ad accusato.
E ancora: è il trafficante d’armi Pietro Chiocca che gira l’Africa combattendo (anche a suon di mazzette) la concorrenza di francesi, britannici, tedeschi. Una bella lezione ante litteram alle anime belle che mostrano stupore e indignazione di fronte alle ipotesi di pagamenti di mediazioni per la vendita di armi italiane nel mondo ma che, al tempo stesso, vorrebbero un’Italia prospera e protagonista dei mercati internazionali. Così, quando in Italia un grande giornale racconta il lavoro di Chiocca e vicini di casa, amici e persino la sua stessa famiglia mostrano vergogna e indignazione per il suo lavoro di «mercante di morte», a Chiocca non resta che disarmare i perbenisti con un discorso memorabile: «Perché vedete… le guerre non le fanno solo i fabbricanti d’armi e i commessi viaggiatori che le vendono. Ma anche le persone come voi, le famiglie come la vostra che vogliono vogliono vogliono e non si accontentano mai! Le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i braccialetti, le pellicce e tutti i cazzi che ve se fregano!… costano molto, e per procurarsele qualcuno bisogna depredare! Adesso lo sapete (da dove viene tutta questa agiatezza). Allora ditemi voi quello che devo fare». I figli svelti, rispondono: «Cambiare mestiere, papà!». Chiocca risponde a tono: «Non ho alcun rancore per quello che mi avete detto, anzi, vi abbraccio tutti e vi ringrazio. Siccome il mio lavoro è molto faticoso, duro e rischioso, io mi sono stancato e non ne posso più… se voi aveste visto quel che ho visto io… vabbè, si può fare. Posso anche cambiare mestiere! Mi rimetto a vendere le pompe idrauliche che è un articolo semplice, pacifico e socialmente utile, le mie 3-400.000 lire al mese le guadagno sicuro, ed è una cifra con cui una famiglia può vivere anche decorosamente, soprattutto se si pensa che un terzo del mondo ha un reddito pro capite di 30.000 lire l’anno! Ma non come voi! Non come abbiamo vissuto noi fino a ora, no! […] Sentite io non ce la faccio più, ho bisogno di dormire almeno un’oretta. Dovrei ripartire subito, oggi. […] Devo andare a piazzare un carico di 70.000 mitragliatrici. Fate voi, decidete voi. Se volete che cambi mestiere e riprenda a vendere pompe idrauliche, allora non mi svegliate. Se invece credete che debba ripartire, allora svegliatemi tra un’ora». Con un quarto d’ora d’anticipo Chiocca viene svegliato dalla governante, su indicazione di sua moglie. Che fine han fatto i perbenisti?