«Per me la stanza dove oggi risiede l’assassino di mio figlio dovrebbe avere le misure del loculo di Daniele».
Da mamma non posso che condividere le parole di Ines Righini. Ines e Domenico avevano due figli, Claudio e Daniele, inseparabili nel lavoro, nelle partite di calcetto, nella pesca. Avevano messo su una ditta edile e da qualche tempo, insieme al padre, erano riusciti ad ottenere la manutenzione della Clinica Villa Dei Pini. «Erano apprezzati e amati da tutti. Ogni mattina partivano con il camion e mentre chiudevo il cancello Daniele mi salutava lanciandomi un bacio e Claudio strizzandomi l’occhio!».
Ines Righini, la mamma di Daniele, ha la forza di raccontare per noi di OFF la terribile vicenda accaduta a suo figlio
«Era un ragazzo meraviglioso, generoso e cordiale, sempre disponibile con tutti: quel maledetto giorno mi sarei dovuta recare a Latina per un appuntamento con un perito dell’assicurazione, mi sentivo stanca così e chiesi a Daniele se potesse andarci lui. “Tranquilla, mà!”: sono le sue ultime parole. Telefonò all’amico Massimiliano per farsi accompagnare e non lo vidi e sentii più. Aveva solo 22 anni».
Quello che è successo è venuto fuori dopo le indagini: a Daniele arriva la telefonata di un’amica, che gli chiede un passaggio da Anzio verso Nettuno. I due ragazzi decidono in un primo momento di non andare, ma le telefonate di Nicol si fanno insistenti tanto che alla fine Daniele acconsente. Appena arrivati da Nicol, la stessa gli chiede un passaggio anche per l’ amico Matteo Vernile. Un passaggio, niente di più. Arrivati a casa di Matteo Vernile, quest’ultimo li invita a cena insieme ad altri due amici, ma Daniele e Massimiliano rifiutano. Dopo essere andati via, i due giovani si accorgono che la ragazza ha lasciato la borsa nel sedile posteriore e ritornano indietro. Daniele e Massimiliano fanno ripetute telefonate verso il cellulare di Nicol per invitarla ad uscire, ma la ragazza si è appartata in camera da letto col suo amico Vernile. Invitati dagli amici ad uscire, perché mio figlio stava suonando il clacson, escono arrabbiati dalla camera. Nicol esce di casa e attraversa il giardinetto seguita da Matteo: due parole forse dette male, una borsetta gettata in malo modo. Daniele non ha il tempo di scendere dall’automobile che si ritrova una pistola alla distanza di 30 cm: non un solo colpo ma tre. L’assassino, non contento gira intorno alla macchina e, in maniera altrettanto impietosa, ne spara altri due verso Massimiliano, mandandolo in coma.
Sono passati quasi cinque anni ma i titoli sui giornali Ines non riesce ancora a dimenticarli: «morire a 22 anni per niente: non c’è mai un motivo per uccidere un’altra persona ma per NIENTE è disumano, ignobile incomprensibile. Per alcuni giovani la vita non ha nessun valore».
In base alle perizie richieste dai giudici di primo grado l’assassino era un ragazzo antisociale, schivo e ostile alle regole più elementari per vivere in una comunità , già reo di atti di violenza.
«Perché era agli arresti domiciliari con obbligo di firma e in possesso di una pistola? Per chiudere in galera una persona che aveva già manifestato evidenti segni di violenza doveva morire mio figlio?»
Le parole di Ines rimbombano come tuoni e la politica, troppo presa a mantenere certi equilibri di poltrone, risulta sempre più distratta davanti a fatti criminosi. Oggi le istituzioni devono prendere coscienza che non basta convocare tavoli per la sicurezza, è necessario cambiare le leggi.
«In primo grado il pubblico ministero Luigi Paoletti chiese l’ergastolo e ottengo 30 anni, in secondo grado la condanna viene ridotta a 27 anni. Mi è stato riconosciuto un risarcimento economico di cui non ricordo l’ammontare, ma che l’assassino non pagherà perché è inadempiente. Nessun risarcimento può alleviare il buio nell’anima, la mutilazione del corpo, perché ormai senza mio figlio Daniele mi sento mutilata: vivo il giorno sperando che arrivi subito la sera sperando di sognarlo. Non è colpevole solo Matteo Vernile. Daniele deve essere sulla coscienza di chi ha fatto leggi troppo benevoli e permissive perché non è possibile lasciare libera una persona socialmente pericolosa agli arresti domiciliari e senza nessun controllo».
La rubrica di OFF #legittimadifesaè un’iniziativa in collaborazione con
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