Edita Broglio, la pittrice del “realismo magico” degli oggetti

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Edita Broglio, Il pane, 1928, olio su tela, 35,5x42 cm, Collezione privata
Edita Broglio, Progetto per “Le villeggianti”, olio su tavola, 36×44,7 cm, fonte: farsettiarte.it

Tra le artiste ce n’è una, del Novecento, che merita particolare attenzione. Si tratta di Edita Broglio (Smiltene, Russia, 1886-Roma, 1977), nata nella città baltica con il nome di Edita Walterovna zur Muehlen, ma italiana di adozione, compagna del pittore Mario Broglio, di cui ha preso il nome.

Fuggita dalla rivoluzione russa del 1905, riparata in Germania, dove si iscrive all’Accademia di Könisberg, si stabilisce a Parigi nel 1910. Nella città lumière si trova in piena avanguardia: postimpressionisti, cubisti, futuristi, fauves e altro ancora.  Passa intere giornate al Louvre a copiare dipinti quattrocenteschi e disegnare foglie, frutti, teschi, volti.

Nel 1912 si stabilisce definitivamente in Italia, a Roma, dove prende uno studio vicino a piazza del Popolo, frequentato da artisti italiani e stranieri con cui fa amicizia, grazie alla mediazione dell’amica russa Olga Resnevic Signorelli.

Gli esordi pittorici sono all’insegna di scoppi di colore alla Kandinskij e plasticismo alla Cézanne, Paese incandescente, Montagna incandescente, Paesaggio in salita: visioni, emozioni, studi della luce. Edita partecipa alle due esposizioni della Secessione romana del 1913 e 1914, che riunivano artisti di varia estrazione e varie tendenze in opposizione all’accademia.

 Il “periodo incandescente”, come lo definiva lei stessa, dura sino al 1916. Ma non era quella la sua vera strada. Lei sognava la grande pittura italiana del Tre e Quattrocento, le forme tonde e lucide di Piero della Francesca, la prospettiva piatta di Giotto, il ritorno al mestiere.

Edita Broglio, Valori Plastici, 1920 n. II, fonte: scuolaromana.it

La svolta avviene, dopo la guerra, con la conoscenza nel 1917 del pittore Mario Broglio, piacentino (1891-San Michele di Moriano, Lucca, 1948), con cui stringe un intenso sodalizio sentimentale e artistico. Broglio crea Valori Plastici, la rivista del “ritorno all’ordine”. Edita aderisce, con Carrà, Savinio, De Chirico, Morandi. E crea negli anni Venti le prime opere della nuova poetica: Le scarpe, Pane e acqua, Carciofi, Gomitoli, Bottiglie, Uova fresche. Tornano gli oggetti, con la loro realtà fisica e visiva, torna la grande tradizione: basta guardare le uova e ritroviamo immediatamente quelle delle pale di Piero della Francesca.

Bottiglie del 1927, cinque boccette trasparenti e una piccola scatola tonda poggiate su un tavolino da toilette, richiamano Giorgio Morandi, uno dei pochi pittori con cui Edita ha affinità. Ma la materia pittorica di Morandi è densa, quella di Edita fluida e trasparente.

Edita raffigura infatti gli oggetti con delicatezza e timidezza, colori slavati, come se riaffiorassero da lontano, concreti, ma fuori del tempo. La riconquista del reale è la strada giusta per la pittrice, che giunge al “realismo magico” degli anni successivi, in cui immagini straordinarie (Testa su fondo di tarsia, 1938, Pomodori, 1948, Cereali, 1948, La spogliatura del gelso, 1961 e tanti altri), vivono la loro perfezione formale in un’atmosfera magica, straniante, sospesa. Curate in ogni minimo dettaglio come quelle dei fiamminghi o dei ferraresi di Schifanoia, sono rivissute e ricreate secoli dopo. E questa è Arte.