Spostano quel Caravaggio dalla Capitale a Forlì: perché?

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Caravaggio, La Madonna dei pellegrini, 1606 ca
Caravaggio, La Madonna dei pellegrini, 1606 ca
Caravaggio, La Madonna dei pellegrini, 1606 ca
Caravaggio, La Madonna dei pellegrini, 1606 ca

Perché? La domanda è un urlo che sale al Cielo quando si viene a sapere che il ministro Franceschini, con il benestare della Soprintendenza, ha autorizzato lo spostamento della Madonna dei Pellegrini, del Caravaggio, dalla sua sede naturale, ovvero la chiesa di Sant’Agostino a Roma, per una mostra a Forlì.

Un’azione quasi folle e insensata, priva di qualsiasi giustificazione storica, perché un’opera come quella del Merisi fa parte integrante di una struttura che non la rende svincolabile dallo spazio architettonico che l’ha prevista sin dalla sua concezione. Spostare la pala d’altare dalla chiesa romana è come rimuovere la Pietà di Michelangelo da San Pietro per portarla in una mostra altrove. Ci sono opere amovibili, molte, che possono uscire dal loro contesto, un caso per tutti i Bronzi di Riace, mentre altre, come questa, che non possono essere avulse dal luogo e dalla dimensione – anche turistica – dove sono nate. Di recente il Cristo Portacroce di Michelangelo, situato a Bassano Romano è stato inviato in Giappone… sì questo si può fare!

Il percorso che il visitare adesso farà a Roma per vedere le opere del Caravaggio, risulterà monco, fasullo, falso e falsato.

Il visitatore che adesso vagherà per i luoghi caravaggeschi di Roma si troverà privato dalla visione di tale capolavoro e dovrà magari andare a Forlì per vederlo? 

Guardare, vedere, ammirare e godere della Madonna dei Pellegrini a Sant’Agostino è reimmergersi nel tempo e nella vita dei primi anni del Seicento romano, un secolo aureo di splendori; è essere, divenire contemporanei alla grandezza di Michelangelo Merisi e dei suoi committenti, perché le opere d’arte immortali come questa sono varchi “spaziotemporali” e quindi non sarà mai la stessa cosa vederla a Forlì. Come non sarebbe sensato spostare l’Altare di Gand di Van Eyck per esporlo a Milano o a Cosenza o a Cagliari. Luogo e opera d’arte dialogano tra loro e insieme allo spettatore, in un eloquente e muto fluire dell’anima; spezzare, interrompere questa comunicazione spostando uno dei due elementi dunque è quasi un atto di violenza che viene compiuta sia al luogo sia a colui che ne beneficia.

Si stia dunque più attenti, in futuro, si abbia una maggior cura e attenzione delle opere che si vogliono portare altrove, perché l’arte è una creatura vivente, un cuore pulsante che non può essere estirpato e trapiantato senza dolore.