La terra trema, la polvere sembra la nebbia cresciuta al posto dei sentimenti, parafrasando le parole di Astrov (un Francesco Montanari asciutto nella recitazione). Così inizia Uno zio Vanja di Anton Čechov nel sensibile adattamento di Letizia Russo. L’equilibrio di zio Vanja (interpretato dall’intenso Vinicio Marchioni, anche in veste di attento regista) e della nipote Sonja (una toccante Nina Torresi) viene scombussolato dall’arrivo del prof. Serebrjakov (Lorenzo Gioielli) con la seconda moglie Elena (la brava Milena Mancini). Il protagonista ne è innamorato e non è il solo.
Il nucleo drammaturgico è lo stesso; ci ritroviamo, però, ai giorni nostri, in una provincia italiana colpita dal terremoto e, significativamente, in un teatro deturpato dal sisma (dallo squarcio ci si affaccia, non a caso, su un albero di ciliegio). «Il problema di questo Paese non è dove sorgono le città, ma il dolo che mettiamo nel costruirle. Bisogna essere delle macchine senz’anima per lasciar morire tutta questa bellezza», asserisce lucidamente il dottor Astrov, rispettoso della natura.
Le macerie, le azioni mancate e trattenute sono metafora di ciò che siamo ed è da qui che si vuole ripartire. Gli attori (citiamo anche Andrea Caimmi, Alessandra Costanzo, Nina Raia) vivono i personaggi tra sfumature e silenzi, facendoci specchiare in una maniera più unica che rara.
Assistendo a Uno zio Vanja si viene avvolti da una commozione profonda, ricevendo in regalo un sorriso speranzoso, perché «dobbiamo vivere» – Sonja docet.
Dopo la prima nazionale al Teatro della Pergola di Firenze (fino al 4/02), lo spettacolo prosegue in tournée e siamo sicuri avvicinerà molti giovani per il suo linguaggio contemporaneo che non dimentica il lirismo.