Il mito della “divina” Eleonora Duse rivive in D’Annunzio Segreto, spettacolo diretto da Francesco Sala che racconta aspetti inediti della vita del grande Poeta Vate, interpretato da Edoardo Sylos Labini e in scena al Teatro Manzoni di Milano dal 5 al 7 febbraio e in altre città italiane (18 gennaio Muggia (TS), 26 gennaio Casalpusterlengo (LO), 28 gennaio Tolentino (MC), 3 febbraio Ascoli Piceno). Il difficile compito di riportare sulla scena il mito di Eleonora Duse spetta a un’attrice di teatro di ottima caratura: Viola Pornaro.
Ci racconta un episodio off della sua carriera?
C’è un episodio, tra i tantissimi, che mi lasciò davvero in uno stato di sorpresa ed euforia. Accadde durante uno spettacolo su Guido Gozzano e i poeti crepuscolari. Il lavoro si svolgeva realmente nel giardino della bella casa di famiglia dove il poeta era cresciuto, ad Agliè vicino ad Ivrea. Il mio collega Enrico Ottaviano declamava questa battuta verso di me: «Perfida tu brilli!», uccidendomi e poi la scena andava “in buio”. Ma invece del buio, il prato della casa rimase variegato di tante, milioni, miliardi di piccolissime lucine, quasi fosse l’universo del cielo. Gli spettatori si girarono tutti verso il datore luci, come se la cosa fosse voluta, preparata. Ecco, lì ci fu veramente la sospensione del tempo, la sorpresa, come un fermo immagine, qualcosa di estemporaneo, non previsto ma sorprendente. Erano lucciole e furono applausi.
Si è formata come attrice e ha poi lavorato con uno dei più grandi maestri del teatro italiano: Luca Ronconi. Che ricordo ha di quegli anni?
Il mio è il ricordo nitido di stare dentro ad un grande marchingegno teatrale, e dovevi rigare dritto, dentro un percorso di coraggio e disciplina. Se c’è una cosa forte che mi porto dentro del maestro è proprio questo pensare in grande, anche in luoghi dove rischieresti di mortificare il tuo stile. Se hai un’identità forte, puoi muoverti con pienezza in quei meandri e punti scuri del teatro che ti possono restituire solo senso di benessere.
Crede che nel teatro italiano di oggi ci siano ancora Maestri della caratura di Ronconi?
Credo di sì, ma il teatro non è amato, considerato, frequentato, come nel periodo del Maestro. Ma credo anche che ci sia una generazione di registi e attori schiacciati da ciò che è venuto prima di loro e con paura imitano o contrastano e non rielaborano veramente, con una propria identità e una propria umanità. Insomma, bisogna fare molta, molta scuola e poi prendere il largo e non il contrario, poiché non sai come veramente funziona la grande nave teatrale.
In D’Annunzio Segreto interpreta Eleonora Duse, che è unanimemente considerata la più grande attrice italiana della storia. Come si è preparata a interpretare un personaggio così “ingombrante”?
Mi sono preparata risalendo alle origini, verso la sorgente, come i salmoni. Il Veneto, l’apprendistato teatrale della Duse bambina (l’hanno buttata in scena piccolissima), quel senso di vuoto a fine replica, la solitudine che la rendeva nobile nell’anima, che contrastava con la sensualità e la carnalità del corpo: la verità dei gesti e dei movimenti, l’asciuttezza dei toni, una voce che richiamava il cuore degli spettatori. Parlava all’anima. Inoltre ho avuto la fortuna d’incontrare, negli anni universitari, un grande docente di Storia del Teatro, Umberto Artioli, con cui avevamo affrontato il corso monografico su D’Annunzio. Gli appunti, che sapevo di aver conservato, sono stati davvero molto utili per sviscerare il rapporto tra Eleonora e Gabriele partendo dal romanzo Il Fuoco, che ha suggerito la bellissima scena del Labirinto, riscritta con grande sapienza da Angelo Crespi, autore del testo D’Annunzio Segreto. La grande disputa tra le due figure, autore e attrice, era il contrasto tra Arte e Verità intesa come Vita.
Il rapporto tra Eleonora Duse e D’Annunzio è sempre stato molto conflittuale sia nella vita privata che in quella artistica. Crede che lei sia stata vittima di D’Annunzio oppure anche lui la subì?
C’è una scena, nello spettacolo D’Annunzio Segreto in cui Eleonora Duse, esasperata dalle prove con Gabriele D’annunzio, urla: «Gabriele, tu dirigi, dirigi, ma non si sa da che parte manovri le vele!». Diciamo con più semplicità:”Ad ognuno il suo lavoro”. Lei amava D’annunzio scrittore, ma poi nel suo lavoro le usciva quell’istinto, quell’animalità attoriale, quell’esperienza sulle tavole da palcoscenico che solo lei conosceva e sapeva difendere.
Ma il grande dibattimento fra i due era trovare il senso tra Arte e Vita. Come nel romanzo Il Fuoco, in cui il giovane poeta Stelio indaga forsennatamente sulla provenienza di tanta prodigiosa Arte dell’attrice Foscarina-Duse e ne vuole carpire i segreti; così D’Annunzio ascoltava Eleonora per carpire materia da smembrare per le sue opere. Eleonora per restituire Verità in scena si serviva naturalmente del suo vissuto: l’esperienza della fame, l’osservazione della morte ravvicinata da bambina, la vita vagabonda senza più l’amata madre, la perdita di un figlio, la lontananza dall’amata figlia, i tradimenti e i torti subiti.
Tutto questo valorizzava, influenzava, nutriva l’Arte di Eleonora Duse, vita che nessuno (nemmeno un grande complice come D’Annunzio), mai nessuno avrebbe potuto rubarle, ma che supportava lo stile, i toni, la voce, le intenzioni dei personaggi che interpretava (lei stessa scrive con affetto “le mie donne”).
Qual è l’insegnamento più importante che il personaggio di Eleonora Duse le ha lasciato?
Un valore importantissimo di cui ogni attore necessita: il principio dell’ autoregia. Senza tradire le direttive del regista, Eleonora insegna che l’attore non è un mero esecutore, ma firma anche lui il quadro. Attraverso le sue rielaborazioni e la sua forza interiore può dare un apporto necessario alla scena. Questo valore ha a che fare con il coraggio della propria identità. Ma attenzione, arriva con l’esperienza e la maturità. Fatelo decantare.