Quando l’abuso di potere colpisce i “dannati”

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L'Aria - FotoScena La storia di quattro detenuti, della loro umanità, della loro sofferenza, delle loro colpe e dei loro sogni di libertà va in scena mercoledì 6 e giovedì 7 dicembre al Teatro Porta Portese di Roma con L’Aria, pièce dedicata alle vittime degli abusi di potere da parte dello Stato scritta da Pierfrancesco Nacca e diretta da Giulia Paoletti, entrambi giovanissimi e appena usciti dalla scuola di alta formazione per le professioni dello spettacolo “Officina Pasolini”.

«Tutto è nato da una semplice corrispondenza con un amico detenuto all’interno della casa circondariale di Taranto» racconta Nacca, autore e anche protagonista del testo insieme a Alessandro Calamunci Manitta, Andrea Colangelo e Gabriele Sorrentino. I quattro attori vestono i panni di Nicola, Mario, Rosario e Carmine, rinchiusi in un istituto di detenzione del nostro paese, ripercorrendo i momenti della loro vita, quella vera, prima di essere reclusi, fino ad arrivare alla carcerazione. «La mia indicazione principale è stata quella di raccontare chi sono realmente e profondamente queste quattro persone, al di là delle sbarre, con i loro pregi e difetti» spiega la regista. «Siamo entrati nelle celle, abbattendo un muro, per mostrare la vera essenza di ognuno, cercando di non giudicare, come spesso accade, un detenuto solo per l’errore che ha commesso e cercando di restituire loro la dignità intrinseca che ogni essere umano possiede». «Portare in scena questo spettacolo – prosegue – è stato emotivamente molto sorprendente. La mia paura iniziale è stata certamente quella di dare un messaggio errato o politically incorrect. Non c’è un tentativo di giustificare per forza di cose chi ha sbagliato, ma c’è la necessità di far vedere che c’è anche altro e che c’è sempre un motivo che guida un’azione, seppur sbagliata».

L'Aria - FotoScena Lo spettacolo evidenzia la situazione delle strutture carcerarie italiana, il sovraffollamento e le precarie condizioni igieniche che rendono la detenzione infernale, mettendo a dura prova il rispetto e la dignità umana, spesso calpestata. «Sin da piccolo ho avuto una particolare attenzione per i soli, per gli incompresi, sentivo che potevo capirli» dice Nacca. «I fatti di cronaca continuano a colpirmi particolarmente e sentire la vicenda di un ragazzo della mia età che perde la vita per mano di certi “tutori della legge” mi fa rabbia. La sete di giustizia per queste persone abusate mi ha portato ad informarmi sempre di più su tutti i casi (e sono tanti) di maltrattamenti e di abusi di potere da parte dello stato. Le storie di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Michele Ferrulli, Giuseppe Uva e di tanti altri sono state il motore e la benzina per affrontare questo testo». Infine, il drammaturgo sintetizza così le intenzioni alla base del suo lavoro: «Quello che vogliamo fare con “L’Aria” è denunciare gli abusi e i maltrattamenti subiti da persone che hanno certamente sbagliato, ma che stanno pagando con la reclusione la loro pena. Vorrei con tutto il mio cuore che il pubblico riflettesse sull’essere umano. Vorrei che ci fosse una distinzione tra detenuto e detenuto proprio come nella vita di tutti i giorni si distinguono alcuni uomini da altri. Il carcere è un “micro mondo”, non è altro che lo specchio della società, non è tanto lontano dalle nostre vite».