Alla soglia dei cinquant’anni (li compirà nel 2018) Chiara Noschese vive una seconda giovinezza. E in attesa di riprendere la tournée di Anatra all’arancia con Luca Barbareschi, raddoppia la sua presenza al Teatro Nazionale di Milano. Così, mentre fino al 31 dicembre di sera va in scena il suo Flashdance il Musical (di cui oltre alla regia ha curato l’adattamento delle liriche e del testo), sabato 11 novembre debutta con il family show PINOCCHIO – Cuor Connesso. Ideata e diretta dalla Noschese, questa nuova produzione rivisita l’omonimo classico della letteratura per ragazzi e resterà in cartellone fino al 14 gennaio con repliche il sabato pomeriggio e la domenica mattina. Protagonisti sono Mario Acampa (Pinocchio), Antonio Speranza (Geppy) e Raffaella Alterio (Grillo parlante). «Lo spettacolo è pensato per bambini dai 6 anni in su e comincia da dove finisce il romanzo, ovvero dalla trasformazione di Pinocchio da burattino a bimbo. Tra Pinocchio e Geppy si instaurerà un bel rapporto fino a quando Pinocchio, navigando nel web, resterà abbagliato dai sogni di fama e ricchezza promessi dai due agenti…», ci racconta la Regina dei Musical. Che poi aggiunge: «PINOCCHIO – Cuor Connesso è una fiaba musicale che affronta tematiche attuali. Schiavi di smartphone e pc, stiamo perdendo gli amici reali. E credo che i bimbi debbano essere informati e sensibilizzati sui pericoli della rete».
Chiara Noschese, ci vuole raccontare un aneddoto di quando era un’artista OFF?
Non scorderò mai un pomeriggio passato a verniciare le sedie recuperate dalla spazzatura in un teatrino piccolissimo di Roma! Avrò avuto vent’anni.
Quando ha capito di avere talento per la recitazione?
La consapevolezza di avere una disposizione naturale per il teatro è arrivata a 17 anni: frequentavo il liceo linguistico e ho allestito una recita scolastica da capo a piedi. Che emozione! Fu allora che decisi che avrei studiato recitazione.
E infatti dopo il diploma ha superato il provino per entrare nel Laboratorio di Esercitazioni Sceniche diretto da Gigi Proietti…
È stata una delle gioie più grandi della mia vita. Per il provino ricordo che mi ero vestita in modo elegante. Interpretai New York New York e un monologo difficilissimo, con protagonista una donna che iniziava il proprio racconto sobria e lo finiva ubriaca.
Com’era Gigi Proietti nei panni di Maestro?
È stato un insegnante eccezionale. La verità? Io ero totalmente pazza di lui. Era la mia stella cometa, la mia fonte di ispirazione. Ormai sono anni che non lo sento più, ma per me resta il numero uno.
La famiglia: lei è figlia del celebre imitatore Alighiero Noschese. Lo racconta ai suoi studenti di recitazione? È un vanto?
È un triplo vanto. Ma non parlo mai di lui perché sono una donna discreta. Preferisco preservare nel mio cuore il suo ricordo.
Ci dica almeno una cosa che le ha insegnato…
L’umiltà e il valore dell’uguaglianza. Mi spiego: il teatro ha una struttura gerarchica, ma lui si comportava con tutti nello stesso modo: dal regista al tecnico luci. Ecco, io sono come lui.
Tra le sue varie esperienze lavorative c’è anche un passaggio nel varietà di Carlo Conti Tale e Quale Show (2013): che cosa le è rimasto di quell’avventura?
Nulla. Ricordo solo un grande stress. I tempi televisivi non mi appartengono, sono troppo veloci e non consentono di provare in modo adeguato. E anche se il Tale e Quale Show mi ha dato una certa popolarità, tornando indietro forse non lo rifarei.
Quindi non la vedremo più nei panni di concorrente di un talent show televisivo?
No, ho già dato! In compenso mi piacerebbe ricoprire il ruolo di giudice a X Factor, programma che mi piace molto.
Pensa mai al tempo che passa?
Ogni volta che mi guardo allo specchio e constato che la pelle del viso cede sempre di più. Detto questo, da quando sette anni fa ho iniziato a occuparmi anche di regia, vivo una seconda giovinezza. Ho ritrovato energia, entusiasmo e vigore. Sono sempre impegnatissima e non mi annoio mai.
Non ha nessun rammarico?
No, sono serena. Amo il mio lavoro e sono riscaldata dall’affetto dei miei tanti amici e del mio compagno. Non potrei desiderare di più.
Nemmeno un figlio?
No. Per diventare genitori occorre prendere una “patente” e io non avrei superato l’esame. Mi sento troppo bambina per insegnare come si vive a un altro bambino.