
La mercificazione del cibo, dagli anni Cinquanta in poi con il proliferare dei fast-food, ha portato ad un’alterazione dei prodotti con una ricaduta pesante sulle abitudini alimentari. Il cambiamento ha avuto un’influenza negativa anche sugli ecosistemi e a una relativa svalutazione del valore delle biodiversità. Un rapporto, quello con il cibo, che diventa sempre più malato, e che ha risvolti negativi anche da un punto di vista sociale. A partire dalla perdita di identità culturale, a seguire con il sempre più netto contrasto tra mondo occidentale e quello orientale. Un’alimentazione, infine, strabordante di grassi e zuccheri e povero di elementi nutrizionali, con gravi conseguenze per il nostro stesso corpo.
Un atto di denuncia a suon di colori, pennellate, ombre e simboli iconici, contro la mercificazione e mortificazione del cibo. Un messaggio in arte per colpire l’industria del cibo “(ne)fast“, per raccontare la cultura del mangiare bene e di una nutrizione che parte prima dal cervello, poi dallo stomaco. La nuova mostra “Junk Food“, voluta da Tina Vannini e curata da Francesca Barbi Marinetti e Marcello Francolini, presso gli spazi espositivi de Il Margutta Veggy Food & Art, sarà visitabile fino al 6 dicembre. Ingresso gratuito.
Le opere in mostra mettono in luce le contraddizioni di un sistema di nutrizione debordante di grassi e zuccheri e povero di elementi nutrizionali. E che cos’è un cibo che punta sull’attrattiva esteriore, conservando e migliorando esteticamente la forma originale svuotata però dei contenuti proteici, se non meramente un oggetto? Un ulteriore ibrido della società contemporanea che nuoce alla qualità della vita. Ed è proprio in quanto oggetto che il cibo viene trattato ed indagato da molti degli artisti qui in mostra.
«Se l’accumulo rappresenta la negazione magica della penuria – spiegano i curatori Francesca Barbi Marinetti e Marcello Francolini – l’arte sembra indicarci che forse dovremmo tentare di arginare il pensiero unico economico anche al fine di trovare un nuovo modo di contemplare e riconsiderare la realtà in cui viviamo. E’ stata immaginata una mappa tematica che suggerisca un ordine per tipologia di approccio individuando cinque differenti, ma confinanti, sezioni: Ironie multinazionali, Disfunzionalità corporali, Scarto Sublime, De-teologizzazione e de-eticizzazione del patrimonio simbolico e Carne».
Nella prima categoria rientrano le opere pop, neopop o pop-surrealiste di Sara Baxter, Dorothy Bhawl, Moby Dick, Mauro Sgarbi e Elio Varuna, che attaccano i grandi marchi multinazionali della distribuzione del fast-food. Il focus della seconda, invece, affronta le conseguenze del cibo cattivo sul corpo: Ezia Mitolo, Antonella Pagnotta e Pier the Rain, con le loro opere, parlano quindi di obesità, anoressia, depressione e diabete.
Nella sezione “Scarto sublime“, invece, Giovanni Crovetto e Romana Zambon, con richiami a Pollock e a Arcimboldi, raccontano lo scarto in un’ottica provocatoria e riflessiva. Mentre, a proposito di “de-teologizzazione”, tra simboli artistici e religiosi, le opere di Marco Colletti, Pier the Rain e Corrado Veneziano. La “Carne“, invece, viene intesa come la nostra finitezza e debolezza, ma anche il sacrificio, il supplizio dell’umano protendere verso obiettivi che trascendono il presente. A darne nuovi significati le opere d’arte di Moby Dick, Mauro Sgarbi e Corrado Veneziano.
Il progetto culturale e artistico, su cui la titolare del ristorante vegetariano romano sta lavorando da parecchio tempo, grazie al prezioso apporto dei due curatori, si arricchirà di una ulteriore iniziativa. E’ già pronta, infatti, una petizione per proporre la dicitura “nuoce gravemente alla salute”, come già avvenuto su alcol e sigarette, sui prodotti in vendita.
«Stiamo mano a mano perdendo il valore simbolico del cibo, che si sta trasformando sempre più in un contenitore di elementi senza un’anima – spiega la titolare del ristorante Tina Vannini – E’ per questo che c’è bisogno di un messaggio forte, essenziale, simbolico, come solo l’arte può riuscire a dare. Le opere in mostra potrebbero sembrare talvolta blasfeme e irrispettose, ma c’è bisogno di uno spintone culturale rigoroso, quasi violento, per cambiare rotta».