Sono “un’altra” Alexia da quel Sanremo

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Alexia - foto verticale 2E’ tempo di rimettersi in gioco per Alexia. La cantante ligure, a cinquant’anni compiuti ed a venti di distanza da quel famosissimo singolo “Uh la la la” che ha fatto ballare mezzo pianeta, è tornata sulla scena musicale con il nuovo album “Quell’altra“, dal 29 settembre in tutti i negozi e digital store. Cinque milioni di dischi venduti nel mondo, otto d’oro e due di platino, trionfatrice sul palco di Sanremo nel 2003 con “Per dire di no”, Alexia per questo lavoro si è affidata a Mario Lavezzi, produttore e co-autore dei brani insieme a Giuseppe Anastasi, Bungaro, Cesare Chiodo, Alberto De Rossi, Piero Simonetta, Piero Romitelli, Lorenzo Vizzini e Zibba. Dopo aver fatto pace con i propri conflitti interiori, si ripresenta in una veste tutta nuova.

Quell’altra” è il disco dei suoi 50 anni. Un album che lei ha definito “del cambiamento”: che cosa intende?

Mi sento diversa, più consapevole rispetto al passato. Nel 2004 ho avvertito che qualcosa non funzionava più nel mio lavoro, mi sentivo a disagio, costantemente in difetto per ciò che facevo. Non so perché o per colpa di chi ma, nonostante i grandi successi, il passaggio dall’inglese all’italiano coronato con la vittoria di Sanremo, ero infelice. Mettevo il lavoro davanti qualsiasi cosa, compresa la mia vita privata. Mi ero dimenticata di curare la persona che c’era dentro di me. Questo aveva provocato una grande stanchezza e incapacità di sostenere le pressioni, al punto da pensare di riposare un po’. In quel momento la Provvidenza è venuta in mio soccorso poiché ho saputo di essere incinta della mia prima figlia. Ho trovato l’occasione per fermarmi senza dover giustificare niente, come se questa bambina mi fosse venuta in aiuto per nascondere le mie paure. Ma non è stato così semplice: i conti da pagare sono arrivati successivamente. Dopo la nascita della bambina c’è stato il vuoto. Cominciavano a mancarmi l’adrenalina che mi dava il mio lavoro e i rapporti con le persone, mentre il mio telefono aveva smesso improvvisamente di squillare. Così ho deciso di ricominciare e quando la mia voce ha ripreso tono ho avuto l’occasione, nel 2009, di fare un bellissimo Sanremo con Mario Lavezzi. Il destino ha deciso di metterci ancora lo zampino e a 44 anni ho scoperto di aspettare la mia seconda bambina. Margherita mi ha tenuta lontana dalle scene, ma è da un paio d’anni che mi sono messa seriamente ad immaginare un ritorno. L’ho fatto investendo anche personalmente su questo lavoro, come produttrice di “Tu puoi se vuoi”. E’ stata un’esperienza che mi ha arricchita e mi ha consentito di rientrare in questo giro in punta di piedi perché il mio posto non è rimasto vuoto. Mi sono circondata di un team di ragazzi giovani, che credono abbia ancora tante cartucce da sparare in un momento molto difficile, in cui i social sono diventati lo strumento per imporsi in questo mondo come personaggio. Anche io sto cercando di aprirmi mentalmente verso i social, attraverso cui le persone che mi hanno amata hanno la possibilità di seguirmi; ma non è facile raccogliere nuovi adepti.

Tu puoi se vuoi”, uscito due anni fa, era stato presentato con un vistoso tatuaggio…

Sì, mi ero fatta un tatuaggio. Poi per quella copertina volevo realizzare qualcosa di molto evidente, che colpisse. Perciò decidemmo di fare un body painting in cui raffigurare tutte le cose che mi avevano tenuta lontana dalle scene ma, al contempo, mi hanno dato la possibilità di crescere. Ho disegnato un sole che sembra quasi un fiore, che rappresenta luce, speranza, la primavera. C’erano simboli marini come le ancore, perché sono nata in una cittadina di mare. Le iniziali delle mie bambine e di mio marito. Lui mi ha salvata da una vita di zitella, avrei potuto far vagare il mio cuore in cerca di qualcosa, in assenza di vero amore. Quando è arrivato le mie ansie si sono placate. C’erano poi le note musicali perché la musica fa parte della mia vita.

Dalla sua carriera ventennale scelga una fotografia. Cosa le viene in mente?

Il momento più bello è stato quando, nel 1997, vidi un articolo con la mia foto che parlava di me come Alexia, la bomba spezzina. E’ stata una grande soddisfazione vedere che il quotidiano della mia città mi dedicava una pagina intera per il mio successo. All’epoca avevo piazzato “Uh la la la” al primo posto in dieci paesi nel mondo, in classifica al decimo posto in Inghilterra, un traguardo incredibile. Ero sempre sugli aerei e lavoravo tantissimo. Ma il vero segnale che sta cambiando qualcosa lo si avverte quando vengono a vederti le persone che conosci, che hanno condiviso con te le scuole, quando si accorgono dei tuoi sacrifici il fornaio o l’edicolante. Ho sacrificato tanto la mia giovinezza per poter arrivare dove sono arrivata.

Mi racconta un episodio off dei suoi esordi?

Ricordo che per mantenermi suonavo in una cover band. Mi esibivo molto anche nelle discoteche. Grazie al passaparola di alcuni deejay, che apprezzavano la mia versatilità ed il modo in cui riproducevo i brani dance primi nelle classifiche dell’epoca, diventai una delle vocalist più ricercate della Liguria e della Toscana. Roberto Zanetti non si fece sfuggire di provare a fare qualcosa con me. Lavorai tanto per alcuni album di artisti che produceva finché arrivò “Think about the way”, che ebbe un successo pazzesco e diventò anche la colonna sonora di “Trainspotting”. Zanetti, da allora, decise di investire sulla mia carriera da solista, iniziata nel 1995 con “Me and you”. Non ci siamo più fermati fino al 2000, anno in cui passai alla Sony.

Quale direzione sta prendendo, a suo avviso, la musica italiana?

Se fossi certa di conoscere la direzione che la musica italiana sta prendendo, la seguirei. Non è facile capirlo, ma posso dire ciò che percepisco ascoltando la radio. È un momento in cui la discografia segue un filone chiaro: sonorità internazionali con suoni meno analogici, più elettronici, con una cura ai testi. Lo svantaggio è che a volte mi sembra di confondere gli artisti. Sento un po’ di personalità in meno rispetto ad un tempo. È un problema generico, non solo del nostro Paese. La globalizzazione, Internet, la possibilità di ascoltare musica da tutto il mondo consentono ai giovani di uniformarsi non solo nella ricerca del lavoro e degli stili, ma anche nella musica.

E’ tornata alla musica ora che le sue bimbe sono cresciute. Che mamma è?

Nonostante abbia ripreso a viaggiare tanto, cerco di essere molto presente. Sono una mamma dolce ma anche dura, permissiva ma decisa ad avere rispetto. Parlo molo con loro, desidero costruire adesso un dialogo perché voglio evitare che si chiudano nei loro silenzi nel momento del difficile passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Questo mi spaventa anche perché sarò una cinquantenne attempata (ride, ndr) e non sarà facile trovare la pazienza e l’energia per seguirle.

E’ molto legata alla sua città, tanto che nel 2011 ha preso parte a “La Spezia Live”, un grande concerto a favore delle popolazioni alluvionate. Dalle alluvioni ai terremoti, pare che chi ci governa abbia fatto ben poco in questi anni. Lei che rapporto ha con la politica?

Come la maggior parte delle persone della mia età ho vissuto la mia infanzia con i genitori che si lamentavano della prima repubblica, dei soliti ladroni. Mi sembra, però, che all’epoca queste persone avessero uno stile e una capacità espressiva di un altro livello rispetto ad oggi. Nono sono appassionata di politica, la percepisco in modo sfuggente perché mi fa dolore. Non è un momento facile per l’Italia. Sono molto amareggiata, mi accorgo che non c’è voglia di costruire. La politica non mi dà una grande garanzia, perciò ho imparato a ragionare in piccolo. Vivo a Milano, che rappresenta un po’ un paradiso felice per quanto mi riguarda, visto che vivo in una zona privilegiata, e spero che l’amministrazione cerchi di non distruggere questa città.

Il suo singolo “La cura per me” è stato scelto come inno del Gay Pride 2017. E’ notizia dei giorni scorsi l’esclusione delle famiglie gay e adottive dalla Conferenza Nazionale sulla Famiglia. Anche se un anno fa in Italia sono state approvate le unioni civili, per il nostro Governo la famiglia omosessuale sembra non essere ancora una realtà…

E’ così. E questo la dice lunga su come in Italia siamo ancora indietro. Girando per il mondo ho visto famiglie con due mamme o con due papà. Vorrei ricordare che ci sono figli che crescono senza genitori, in alcuni casi affidati ai nonni. Perché la chiesa deve essere restrittiva? Io non posso accettare che una famiglia di due uomini o due donne non possa avere dei figli e poi leggere che bambini che vedevano protezione in una figura ecclesiastica hanno subìto abusi. Si tratta di mele marce, ma siamo pieni di mele marce. La cosa sbagliata è che le persone dello stesso sesso che vogliono stare insieme sono accusate di fare qualcosa di losco. Loro si amano. Punto e basta. Sono una grande fan di Papa Francesco, ma continuo a domandarmi: Chi sono io per giudicare i gay? Le mie bambine sono nate in un matrimonio cattolico. Volevo sposarmi in chiesa perché la mia famiglia mi ha educata così, mi ha dato questa impronta, l’ho accettata e sto cercando di trasmetterla alle mie bambine. Poi non so quello che faranno loro. Ma non sono bigotta, non sono contro una coppia gay che vuole sposarsi.

Diceva che suo marito ha placato le sue ansie. Oggi quali sono le sue paure?

La morte e le malattie, due cose che non posso fare altro che accettare. A 50 anni ci cominci a pensare con una consapevolezza matura.