Avevo ventisette anni quella notte tra il 12 e il 13 marzo del 2015, quando insieme ai miei amici mi recai al mio bar preferito a Terni. Quel luogo, uguale a mille altri, aveva la singolarità di trasformare la monotonia di una settimana come tante in una piccola parentesi dedicata a noi, ancora troppo giovani per discutere dei problemi dei ‘grandi’, ma maturi abbastanza da non voler far baldoria; d’altronde era soltanto giovedì, l’indomani tutti a lavorare e a studiare. Mentre cammino per strada, a catturare la mia attenzione è un mio coetaneo, non si regge in piedi, sarà sicuramente ubriaco, penso fra me e me, valutando l’ipotesi di offrirmi per aiutarlo.
Un istante che mi è costato la vita. “Che hai da guardare?”- mi urla contro il ragazzo, ma appena cerco di rispondere, le parole mi si fermano in gola. Con un balzo fulmineo mi si avventa contro e mi trafigge con un pezzo di vetro. Mi porto una mano sul collo, la guardo, è sporca di sangue. Mi accascio per terra, i miei amici vengono a soccorrermi, ma tanto so già come vanno a finire queste cose: scene come questa le ho viste centinaia di volte durante i miei turni di volontariato per il 118. Decido dunque di sfruttare le mie ultime forze al meglio, di lasciare qualcosa ai miei genitori, e così, con quel poco fiato che mi resta, affido ai miei amici l’importante compito di dirgli che gli voglio bene. Mi chiamo David Raggi e sono morto quella notte di un gelido marzo del 2015 senza sapere il perché.
Per la morte di Raggi, allora studente di biotecnologie farmaceutiche e volontario del 118, venne arrestato Amin Assoul, detto Aziz, marocchino di 29 anni, già noto alle forze dell’ordine per reati legati a furti e violenza. L’accusa è di omicidio volontario aggravato dai futili e abietti motivi della crudeltà, resistenza, e lesioni a pubblico ufficiale. Aziz, infatti, era stato allontanato quella sera da un locale del centro perché ubriaco, scontrandosi con due agenti in borghese che chiamarono subito il 113 chiedendo rinforzi, arrivati però troppo tardi.
Amin viene condannato in primo grado a trent’anni e a risarcire la famiglia del giovane. Ovviamente, però, il 29enne non possiede le disponibilità per risarcire i Raggi e, dunque, la faccenda è a carico dello Stato, che però, non prevede fondi per i reati violenti comuni. O almeno è così fino allo scorso 7 luglio, quando viene istituito un nuovo fondo per le vittime di reati intenzionali o violenti. Si fa presto, però a cantare vittoria, purtroppo la normativa prevede un risarcimento solo per quelle famiglie il cui reddito non supera gli 11.500 euro annui, mentre quello di David, ad appena un anno di lavoro, ammontava a 13.500 euro. “Da quel giorno la nostra vita è finita” – racconta il fratello di David, Diego – “abbiamo iniziato una battaglia legale per i diritti dei cittadini contro tutti e contro lo Stato, con la speranza di poter dire alla fine ce l’abbiamo fatta, viva l’Italia. Mio fratello David era un cittadino di cui andare fieri, votato all’altruismo e alla beneficenza, un ragazzo amato da tutti” – riporta commosso – “un vero e proprio punto di riferimento per tutti”.
A distanza di due anni la famiglia Raggi piange ancora il figlio, il fratello, l’amico pronto sempre a tendere la mano, sgozzato senza un perché e che ad oggi non trova giustizia.
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l’Italia non è più una nazione. Affinchè possa tornare ad esserlo occorre che gli italiani siano in grado di nominare alle prossime elezioni una seria squadra che governi questo paese senza guardare in faccia nessuno, oppure è necessario un secondo Napoleone che però al momento non vedo.
Cordiali saluti
Si dovrebbero far risarcire dal PD e dalla Boldrini…
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