Non essere troppo leggero / Che diventi pesante. È uno dei poesismi più rappresentativi di Lampi di leggerezza, silloge del poeta e critico d’arte Donato Di Poce, all’insegna di semplicità, felicità e leggerezza. Pubblicato quest’anno da Acquaviva edizioni, il libro è formato da una ristampa di tre fortunate raccolte di aforismi (Taccuino Zen-Lampi di leggerezza e Miraggi) pubblicate qualche anno fa in edizioni d’arte rare, oggi esaurite, illustrate dai disegni zen di Franco Colnaghi, a cui si aggiunge l’ultima parte, inedita, Il brusio del silenzio, dedicata al poeta Ulisse Casartelli, che firma la postfazione. Qui i poesismi (fortunato connubio tra il mondo dell’aforisma e quello della poesia) sono decritti come “angeli che ci prendono a braccetto accompagnandoci dove più abbiamo paura, e cioè il luogo del nostro vuoto”. I vuoti, insieme ai silenzi e all’ombra, sono i territori prediletti dell’aggirarsi spirituale dell’autore “consapevole vittima della filosofia Zen, dove l’autentica rivoluzione è interiore e la conoscenza di sé il problema decisivo.” (dalla prefazione di Mariella Mischi). Si legge a p. 43: Prima di ridere di un solo uomo / Bisogna inghiottire tutta l’umanità. Ancora: Quando cammino tra le nuvole / Non rispondo mai al telefonino. Profondità e ironia a vantaggio di quella leggerezza di cui Di Poce sostiene le ragioni ché, per dirla con Italo Calvino,“non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.” Di Poce toglie peso alle cose e al linguaggio per arrivare all’essenza, alla semplicità in cui – riprendendo il Maestro Zen, Taisen Deshimaru – risiede la verità, coniugando riflessione filosofica orientale, visione poetica e umorismo: i Veri poeti lo sanno / La poesia è ovunque / Tranne che nei libri di poesia.
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