Vengono da Vicenza, ma da tre anni la casa dei Syncage è l’Olanda. «Credo di aver fatto più passi in avanti lì in questo periodo di quanti ne abbia fatti in quasi dieci anni di musica in Italia» dice Matteo Nicolin, voce solista e chitarra elettrica del gruppo. Con lui ci sono il fratello Riccardo (batteria e percussioni), Daniele Tarabini (basso e flauto) e Matteo Graziani (tastiere e violino), conosciuti tra i banchi di scuola. «Siamo prima di tutto un gruppo di amici» sottolinea Matteo, in sintonia con gli altri tre a partire dal nome con cui farsi conoscere: «Volevamo un nome evocativo, semplice, efficace e che, soprattutto, non avesse un’unica interpretazione. Ciascuno può dividerlo a suo modo, così che il significato possa essere, a seconda dei casi, “senza gabbia” o “l’età della sincronizzazione”».
I quattro hanno messo insieme le singole esperienze dando vita ad un progetto eclettico, a cavallo tra diversi mondi sonori. La prova più evidente di questa contaminazione è il loro album d’esordio, “Unlike Here”, in cui dimostrano di attingere alla tradizione del progressive rock, al jazz d’avanguardia e, al contempo, di essere stati influenzati dalla musica mongola fino alla classica, da Stravinskij a Debussy. «Il disco è stato scritto in circa due anni. Racchiude un pezzo della nostra vita, delle problematiche che abbiamo dovuto affrontare, che si riflettono nella trama del concept» spiega il frontman del quartetto. «In particolare, si racconta la storia di un individuo che nasce e cresce in un ambiente fatto di efficacia, puntualità, meccanicità, e per una serie di circostanze esce dalla sua comfort zone per ritrovarsi in mezzo alla natura. Scopre così che orari e scadenze contano molto poco, finendo per mettere in discussione la sua esperienza precedente. Tutto ha origine da una riflessione su ciò che ho vissuto: da un piccolo paese di campagna della bassa veneta, di
circa trecento anime, sono passato di punto in bianco ad Amsterdam». Ma della sua vita nei Paesi Bassi oggi Matteo è soddisfatto: «Sono in costante contatto con musicisti da tutto il mondo, ho la possibilità di suonare con loro, di imparare e crescere». Più difficile è invece fare musica in Italia: «Da noi non ci sono fondi per la cultura, avverto una disillusione e pesantezza generale. Musicalmente, oltre i talent ed i concorsi, ci sono i soliti che non hanno niente da dire; l’underground è invece un territorio fertile, ma ha poche possibilità per i consueti giochi di potere. In Italia, poi, è difficile suonare dal vivo se non sei una cover band o un big». Nonostante ciò i Syncage, reduci da date in mezza Europa (dove torneranno a breve), si stanno ritagliando il proprio spazio, portando il loro tour nella penisola. E non è escluso che per il loro nuovo album la lingua scelta sia proprio l’italiano: «Ho sempre pensato che l’inglese si sposasse bene con il nostro sound. Ma ho riscoperto la bellezza della nostra lingua, che potrei usare per il prossimo lavoro».