A tre anni di distanza dall’ultimo disco “Canzoni”, in cui si è presentata per la prima volta nell’inedita veste di sola interprete, Chiara Civello ha pubblicato “Eclipse”. E’ il sesto album per la cantautrice romana, che con la sua voce sensuale che mixa jazze soul alla bossanova ha conquistato il pubblico di mezzo mondo. Il pop italiano elegante, le influenze brasiliane, alcune rivisitazioni di classici del cinema italiano, gli arrangiamenti elettronici: è tutto questo “Eclipse”, dodici brani registrati tra Parigi, New York, Rio e Bari. Tanti gli amici di talento dei quali la Civello si è circondata per lavorare al nuovo repertorio: Francesco Bianconi (Baustelle) e Kaballà hanno scritto con lei la rarefatta “New York City Boy”; Cristina Donà è la co-autrice della malinconica “To Be Wild”; al raffinato chansonnier milanese Diego Mancino è affidato il compito di raccontare “Come vanno le cose”, in apertura dell’album; il sorprendente talento dei giovani cantautori Dimartino e Diana Tejera è al servizio di “Cuore in tasca” e di “La giusta distanza”.
Con “Eclipse” ti sei presentata in una veste nuova, quasi elettronica. Come poni questo album rispetto ai tuoi lavori precedenti?
In ogni lavoro cerco di trovare una prima volta, quindi di scoprire qualcosa di nuovo. In questo c’è la scoperta di una sonorità diversa. Per me i punti nodali di ogni disco sono un incontro e una novità. E questo album sancisce l’incontro con il produttore Marc Collin dei Nouvelle Vague, che mi ha proposto una lettura della mia musica lievemente diversa, con associazioni sonore che fondono l’elettronica agli elementi che ho invece sempre utilizzato come il pianoforte, la chitarra, le tastiere. Per me un nuovo disco è quando ci si chiede cosa si ha di nuovo da dire. Le canzoni le scrivo sempre allo stesso modo, è la vestizione della canzone che per me cambia, perché deve rappresentare il mio momento artistico. In questo album ci sono l’elettronica e l’Italia del cinema, di Ennio Morricone, di Piero Piccioni. Un’Italia in cui la produzione musicale veniva sempre asservita ad un’immagine, colta in un momento di fulgore del nostro cinema, in cui la colonna sonora spaziava di generi, dal jazz al bossanova. Abbiamo proposto una lettura delle canzoni originali quasi cinematica: Marc si è posto la questione di creare delle atmosfere come fossero delle tele al cinema.
A proposito di Italia, sei uno di quegli esempi di artiste nazionali più conosciute all’estero.
In Italia ci ho vissuto molto poco. Ho abitato e perciò lavorato soprattutto all’estero. Credo comunque di avere un seguito molto fedele in Italia, da parte delle persone che amano un certo tipo di musica. Lavoro su un ampio raggio e non mi pongo la questione nazional popolare. Una cosa è avere come meta il successo, il voler diventare famosi, tutt’altra cosa è quando il traguardo è conoscere il mondo.
Il Brasile, molto presenta anche in “Eclipse” è la tua seconda patria musicale. E’ anche il tuo posto del cuore?
Il mio posto del cuore è dove mi sento bene in quel momento. E poiché ho un cuore mutevole a volte sto bene in Brasile, a volte a New York, altre in Italia o in Francia. Sono cresciuta così, con l’idea che si debba viaggiare tanto per stare fermi dentro.
Il tuo percorso nella musica come ha avuto inizio?
Mi sono avvicinata alla musica in età giovanissima, ascoltando tante cose grazie a mia nonna, che ha colto in me un talento, una certa musicalità. L’ha riferito a ma madre, che ha cominciato a farmi studiare. Dopo qualche esperienza in un coro e con la chitarra classica sono approdata ad una scuola vicino casa a studiare jazz perché la musica classica non mi interessava. Così ho iniziato. Ero adolescente e da allora è cresciuta dentro di me questa passione.
I tuoi genitori non sono artisti. Ti hanno ostacolata?
Mia madre è psicanalista, mio padre è un medico. Entrambi non mi hanno mai ostacolata, in nessun modo. Sono sempre stati molto aperti.
Tony Benett ti ha definita “la migliore cantante della tua generazione”. Che effetto ti fanno queste parole?
Fanno un effetto strano. Emozionante.
Il tuo primo disco “Last Quarter Moon” contiene la ballad “Trouble”, composta a quattro mani con il leggendario Burt Bacharach. Cosa ti ha lasciato questo incontro?
Tante cose che mi porto dietro e dentro ogni canzone che scrivo.
Nel 2012 hai partecipato al Festival di Sanremo con il brano “Al posto del mondo”. Che esperienza è stata?
Un’esperienza come un’altra. Un palco come un altro ma con un grande peso emotivo, visto che vi sono passate delle leggende, da Luigi Tenco a Nada, da Stewie Wonder a Louis Armstrong. E’ una grande manifestazione ed è stato interessante prendervi parte.
Quindi ci torneresti?
Non mi pongo questo problema in questo momento. Ho tanti sogni, c’è tanto mondo da vedere, posti nuovi da esplorare.
Qualcuno di questi sogni?
La lista è infinita, non saprei da dove cominciare. Posso dirti che ogni giorno ne ho uno. Oggi vorrei andare in Africa, che è un paese che ancora non conosco, e realizzare un progetto lì.
Cosa trovi nella musica?
La musica per me è un modo per comunicare, per sentire tutto quello che non ha nome, dove si liberano i sentimenti, le cose più vive. E’ un po’ come i sogni, dove si elabora il vissuto in maniera diversa. La musica è così.
La tua estate sarà in tour?
Farò qualche data, ma riprenderò i live in maniera più serrata in autunno.