In “24”, l’album che segna il suo esordio da solista, il chitarrista campano (avellinese di nascita e napoletano d’adozione) Sebastiano Esposito ha raccolto tutte le composizioni che ha scritto da quando ha iniziato a suonare fino allo scorso giugno, pochi giorni prima di entrare negli studi di registrazione. «Questo lavoro nasce dalla mia esigenza comunicativa» dice Sebastiano, che gli affida non solo la sua musica, ma l’idea stessa che ha di quest’arte. Registrato interamente in presa diretta insieme al bassista Giovanni Macchiaverna e al batterista Elio Severino, il disco è uscito in due versioni: la prima, disponibile online, è costituita da dieci brani inediti, mentre la seconda è su cd. «Nonostante la crisi del mercato discografico ho voluto il supporto fisico perché desidero lasciare una traccia, e il disco ti permette di essere vivo per sempre» sottolinea. Questa seconda versione contiene le due cover “A me me piace ’o blues” di Pino Daniele e “Little Wing” di Jimi Hendrix più un dvd. «Per le cover la scelta è caduta su due miei punti di riferimento» spiega. «Sono molto legato soprattutto a Pino Daniele. Quando è morto mi sono sentito come se avessi perso un zio; per giorni non sono riuscito ad ascoltare i suoi brani. In questa circostanza ho capito che la musica riesce ad ingannare il ciclo della vita, ti permette di fermare il tempo o di tornare nel passato». Quanto al dvd l’ha intitolato “D’Io” con un motivo ben preciso: «Attraverso le immagini spiego che per me la musica è come una fede». Classe ’92, turnista per Ivan Granatino e Franco Ricciardi, Esposito ha aperto i concerti di Clementino, Giorgio Canali, Marco Ligabue, Rocco Hunt. La prima volta che ha imbracciato una chitarra aveva tredici anni: «Ero a casa di mio zio, la chitarra era quella di mio cugino. Quest’ultimo mi ha insegnato l’arpeggio di “Nothing else matter” dei Metallica. Sebbene le note fossero le stesse a me usciva un suono, a lui un altro. Ho compreso che la musica è un linguaggio più semplice delle parole, non va raccontata». Oggi a Napoli frequenta l’ultimo anno del conservatorio. «Sono una testa calda, mi hanno sempre affascinato artisti
controcorrente come Van Gogh e Picasso. Ho studiato chitarra prima da autodidatta e poi privatamente, ero contrario allo studio accademico. Due anni fa, invece, mi sono iscritto al conservatorio per accontentare i miei familiari, tutti laureati. Ora sono all’ultimo anno e mi sono ricreduto, ho trovato gli insegnanti giusti, a partire da Pietro Condorelli, grazie a cui mi si è aperto un mondo nuovo». Tra i suoi lavori più recenti l’arrangiamento di “Lo do a settembre”, brano scritto da Tonia Cestari per Valeria Angione, che ha ottenuto il boom di visualizzazioni sul web. Ma non è questa l’ultima soddisfazione in ordine di tempo: «Proprio oggi ho venduto la mia prima copia fisica in Francia» confida Sebastiano durante la nostra conversazione. «Sto cercando di farmi conoscere all’estero. Voglio vivere con la mia musica, andrò ovunque mi porterà. Lo dico a malincuore perché qui ci sono le mie radici. Non a caso la traccia d’apertura del disco è “Parthenope”, un omaggio alla mia terra. Ma nel nostro Paese, purtroppo, non c’è una cultura sensibile alla musica strumentale, tanto che in genere tutto ciò che non ha parole si chiama semplicemente base».