Boetti e Salvo, storia d’arte e d’amicizia

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bobboCi sono artisti che vengono spesso dimenticati nel nostro paese ma che sono un punto di riferimento per la cultura europea; due di questi, Boetti e Salvo, vengono esposti in una mostra antologica a Lugano

“Vivere lavorando giocando”
, con queste tre parole si apre la mostra del Masi di Lugano, dedicata ai due artisti e amici Alighiero Boetti e Salvo, protagonisti molto originali della scena artistica del secondo Novecento Italiano. 

L’esposizione vuole indagare la relazione che intercorreva non soltanto a livello professionale e intellettuale tra i due artisti ma anche quella a livello umano ed emotivo, andando a ricercare, in questa intensa avventura, il vero significato del termine “giocare” con l’arte, portando come risultato la realizzazione di una attività rigorosa ma allo stesso tempo necessaria.

La mostra evidenzia sei importanti sezioni tematiche della vita degli artisti e sicuramente interessante è stata la scelta espositiva di assegnare a ciascuno un lato della sala; a sinistra infatti si possono ammirare le opere di Boetti e a destra quelle di Salvo, per un totale di 150 opere tra cui anche prestiti internazionali concessi dagli archivi dei rispettivi artisti, musei, gallerie e collezioni private.

Di grande rilievo risulta essere il capitolo della prima sezione dell’esposizione intitolato “fare frasi”, dove si possono trovare tra le opere più conosciute dei due.  

In particolare per quanto riguarda Boetti spiccano all’occhio i coloratissimi mosaici di parole ricamate dove le singole lettere diventano parole e poi frasi nascoste. Dall’altro lato invece, quello destro della sala, trovano spazio le lapidi incise di Salvo, dove sono riportate parole come “idiota”, “amare me”. Pur appartenendo all’arte povera, in questi lavori, spicca uno dei caratteri più peculiari della futura ricerca artistica che arriverà nei primi anni degli anni ’70 con un ritorno alla pittura recuperando le tecniche tradizionali.  Questo passaggio si nota nella sezione della mostra intitolata “Mappe” dove per l’artista calca la sua visione introspettiva alla ricerca della propria identità di artista italiano e della propria terra, ancor di più della Sicilia, culla della tradizione figurativa.

Per quanto riguarda Boetti le mappe diventano una sinfonia cromatica in grado di riassumere le sue intenzioni e le passioni artistiche e politiche che come lui stesso ama definire sono “il massimo della bellezza” perché, per questo tipo di lavoro, non serve immaginazione o capacità di scegliere, Boetti non sceglie perché come dice: “il mondo è quello che è e non l’ho disegnato io”.  Non sceglie nemmeno i colori che andranno a comporre l’opera perché questo delicato passaggio è nelle mani di abili tessitrici che spesso provengono da Kabul o da campi profughi del Pakistan. Tutto ciò non fa altro che rilevare la natura cosmopolita alla base dell’idea artistica di Boetti.bobbone

Dopo questo passaggio la mostra ci suggerisce come le strade dei due amici, da sempre unite non solo a livello lavorativo, come si evince dalle testimonianze che arricchiscono l’esposizione, si separano prendendo due tragitti assai differenti.

Questa ultima sezione intitolata “Infinita varietà del tutto”, porta a compimento questo percorso mostrandoci come, dopo il trasferimento di Boetti da Torino, dove condivideva lo studio con Salvo, a Roma nel 1972, rimanga tra i due artisti una adesione agli stessi temi come quello del viaggio, della morte o dell’identità, sviluppati però con concezioni diverse. Salvo predilige la pittura, Boetti si affida ad assistenti ed artigiani per delega alla realizzazione delle proprie opere perché alla fine quello che contava di più era “il livellamento della qualità”.

Amici e artisti, visionari dei propri giorni, sono ricordati ancora oggi come figure di riferimento per i gli artisti post concettuali del ventesimo secolo.