Tra il 1743 e il 1744, Jean-Jacques Rousseau soggiornò a Venezia. Fu grazie a questa visita che il filosofo francese si “convertì” alla musicalità italiana verso la quale, come ammise egli stesso, nutriva forti pregiudizi. Ma a Venezia avvenne che, racconta nelle Confessioni, Rousseau assistette al canto dei gondolieri: «Ascoltando alcune barcarole, compresi che sino ad allora non avevo mai sentito cantare», scrisse.
Quei canti, che prevedevano un’esecuzione in eco con botta e risposta tra gondolieri in canali lontani, furono un genere musicale assai fortunato nel Settecento come testimoniato da un impressionante proliferare di repertori: i Grand Tour in Italia, tanto in voga nella cultura europea del XVIII secolo, prevedevano una fermata in laguna per l’ascolto del canto dei gondolieri. Anche Goethe, nel suo Viaggio in Italia, il diario del tour che lo scrittore tedesco tenne nel Belpaese tra il 1786 e il 1788, raccontò di esser stato uditore del «famoso canto dei gondolieri»: «Vi è qualcosa di indefinibile che commuove fino alle lacrime», annotò sul suo diario di viaggio, «è l’appello melodioso d’un solitario affinché, nella lontananza dello spazio, un altro, nella stessa disposizione di spirito, lo ascolti e gli risponda».
Gli antichi “canti da battello” veneziani del Settecento trovano, ora, nuova vita grazie alla cantautrice Rachele Colombo e al suo Cantar Venezia (Nota Music, pagg. 65, 2 cd, euro 18), un cofanetto con libricino allegato e 2 CD con un’incisione ammodernata di quaranta canzonete. L’intento meritorio dell’opera è ridare popolarità al genere della barcarola e restituirlo alle orecchie dell’uomo contemporaneo: «Nessun genere quanto la canzone da battello veneziana si può ascoltare alla moderna canzone pop».