«La musica è uno dei pochi campi in cui il concetto di distanza geografica non ha alcun effetto sulle persone». E’ così che Stefano De Stefano, frontman dei Pipers, spiega come mai la sua band, seppur sia nata a Napoli, abbia abbracciato fin dalla nascita, nel 2007, sonorità a metà tra il folk rock e il british pop. Il Regno Unito ha una parte fondamentale nella storia del gruppo, e non solo per avergli fornito i pilastri della sua formazione e ispirazione, dai Beatles ai Travis, ma perché scrivere in inglese, oltretutto in un modo che piace agli inglesi, ha portato la band a partecipare a festival come Mathew Street Festival, Creamfileds e Liverpool Sound City, a calcare palchi con artisti come The Charlatans, Ian Brown e Starsailor, a suonare in tour in UK con gli Ocean Colour Scene, e ad aprire i concerti di Turin Brakes, James Walsh e Jack Savoretti.
In questi nove anni i Pipers, oggi diventati un duo che oltre a De Stefano comprende Stefano Bruno, hanno pubblicato tre dischi «che in comune hanno solo i colori della copertina, in cui ho ritrovato il tratto comune dell’autunno» spiega il cantante. «No one but us (2010) è un disco di puro britpop di metà anni 2000 – continua -, mentre Juliet Grove, quattro anni dopo, perde le chitarre elettriche per provare a mettere insieme indie pop e folk rock. Alternaïf (uscito il 21 ottobre 2016 su etichetta Bulbart, ndr) si spoglia ancora di più ed entra in una dimensione quasi lo-fi per raccontare delle canzoni decisamente più personali». Attualmente al lavoro sul quarto album («La scrittura è già pronta»), la band non nasconde le difficoltà incontrate: «Per un indipendente è sempre un momento difficile perché ti trovi a dover gestire tante emergenze e storture di un sistema musicale e di mercato che, almeno qui in Italia, non ci premia sempre». Ma non è questo un buon motivo per fermarsi per la band, che ha scelto un nome che è una sorta di incoraggiamento costante a credere nel proprio progetto: «Pipers significa pifferai – conclude De Stefano – , mi piaceva la storia del pifferaio magico che con il potere del suo strumento libera la città dall’invasione dei topi: è una metafora molto forte e romantica per raccontare del potere salvifico della musica».
FOTO LORENZA DE MARCO